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India e Cina, faccia a faccia nel Buthan
  • Il Buthan teatro di una sfida tra Cina e India
    Il Buthan teatro di una sfida tra Cina e India
Un minuscolo Paese con settecentomila abitanti e retto da una dinastia reale buddhista, il Bhutan, e’ diventato il teatro di una pericolosa sfida tra le due potenze regionali, la Cina e l’ India, con le quali confina. Il Bhutan, tenuto isolato dal resto del mondo dalla monarchia, che ha cautamente introdotto negli ultimi anni “elementi di modernita’” - come partiti ed elezioni - nella struttura istituzionale del Paese, si trova nella fascia orientale del lungo confine tra i due giganti, una scomoda posizione che condivide col Nepal, un Paese indipendente passato da pochi anni dalla monarchia alla repubblica e il Sikkim, un’ altra enclave tibetana e buddhista che, al contrario del Bhutan, non e’ riuscita a mantenersi indipendente e che dal 1975 e’ uno Stato dell’ Unione Indiana.
La crisi e’ esplosa alla fine di giugno, quando truppe indiane sono intervenute per fermare i lavoratori cinesi che avevano comimciato a costruire una strada nei pressi di Doklam (o Doka La), un’ area nella quale ciascuna delle due potenze mantiene una forza militare di circa tremila uomini. La disputa verte sulla definizione geografica della trijunction, cioe’ della frontiera tripla tra Cina e India, India e Bhutan e Cina e Bhutan. La zona dove e’ avvenuto il “confronto’ (per ora, sembra, solo a spintoni), tra indiani e cinesi e’ chiamata Gamochen, ed e’ ritenuta dal Bhutan parte del suo territorio, che e’ rivendicato dalla Cina. Secondo Thimphu e New Delhi, il triplice confine si trova qualche decina di km piu’ a nord, in una localita’ chiamata Batang La.
Il confronto e’ il piu’ lungo dal 1962, quando una serie di scaramucce sfocio’ in una breve e sanguinosa guerra, vinta sul terreno dalla Cina ma che non ha cambiato la natura, la profondita’ e la pericolosita’ della disputa tra due Paesi ricchi, potenti, dotati di armi nucleari e che si disputano sempre piu’ apertamente la leadership regionale. New Delhi e Pechino non hanno alcun accordo sugli oltre quattromila km di frontiera comune: ad ovest, le dispute riguardano una buona parte di quello che fu il Regno del Jammu e Kashmir, oggi tripartito tra le due potenze ed il Pakistan, ma che e’ rivendicato nella sua interezza sia da New Delhi che da Islamabad.
La portavoce del Dipartimento di Stato americano Heather Nauer, ha affermato recentemente che le due diplomazie “si stanno parlando”. La notizia e’ stata indirettamente confermata dal portavoce cinese Lu Kang, secondo il quale “i nostri canali diplomatici non hanno ostacoli”. Abbastanza misterioso, ma sempre meglio di un editoriale di pochi giorni prima del Global Times, giornale che spesso esprime le opinioni dell’ ala piu’ ferocemente nazionalista del Partito Comunista Cinese (PCC). Il giornale ha affermato che “…l’ invasione dell’ India di territorio cinese e’ un dato di fatto…” e quindi “…la Cina non accettera’ mai un ritiro di truppe dalle due parti come precondizione per trattative…”. Se i soldati indiani “continueranno a sconfinare in territorio cinese” - prosegue il Global Times - quello che Pechino deve fare e’ prepararsi ad un confronto militare…”.
In un articolo pubblicato dal South China Morning Post Jerome Cohen e Peter Dutton, professori di diritto e studiosi del sistema legale cinese, esaminano le varie ragioni che potrebbero aver spinto il presidente cinese Xi Jinping a tentare il colpo di mano a Doklam. Quella che ritengono piu’ probabile e’ che Xi “…voglia dimostrare al prossimo congresso del Partito (che si terra’ entro la fine del 2017) di avere un piano per rendere un successo la sua audace inziativa di politica estera conosciuta con One Belt One Road (OBOR, chiamata anche Nuova Via della Seta)”. Cohen e Dutton precisano che sia la parte terrestre (che dalla Cina raggiunge l’ Europa passando per l’ Asia Centrale, compreso il Pakistan e settori del territorio conteso del Kashmir) che quella marittima - dalla Cina all’ Oceano Indiano, al Golfo Persico e infine al Mediterraneo - potrebbero essere sabotate con successo dall’ India. Il loro sviluppo richiede “la collaborazione, o almeno la neutralita’’ dell’ India.
Pechino si dichiara a favore delle trattative e delle discussioni pacifiche per risolvere le dispute di confine ma al tempo stesso non perde occasione per affermare che non intende cedere un millimetro quando si tratta di “sovranita’” e di territorio. La definizione cinese di “core interest” per quanto riguarda il territorio comprende non solo aree politico/culturali che non sono storicamente parte della Cina come il Tibet e il Xinjiang, ma anche zone apertmente rivendicate da altri Paesi. Come la trijiunction, che il Bhutan sostiene essere parte del suo territorio.
I commenti da parte indiana hanno sottolineato il fatto che, occupando Doklam, l’ esercito cinese minaccia direttamente il cosidetto “chicken neck” - una stretta fascia di territorio nello Stato del West Bengal che unisce l’ India ai suoi Stati del nordest. In una conferenza tenuta all’ Indian International Centre di New Delhi l’ ex-diplomatico indiano Shyam Saran ha sostenuto che la Cina non si aspettava una decisa reazione da parte indiana e bhutanese ed e’ stata presa in contropiede dall’ intervento dei militari di New Delhi.
Secondo Saran, “…una tattica simile (l’ occupazione a sorpresa di una parte di territorio che col tempo viene resa permanente, ndr) e’ stata usata con successo nel Mar della Cina Meridionale dove, dal 2010, le posizioni sul terreno sono state ripetutamente cambiate (dalla Cina, ndr) senza incontrare nessuna seria opposizione, neanche quella degli USA….”. Saran ritiene che la OBOR sia l’ espressione politica della volonta’ espansionista della Cina, che e’ basata sulla falsa premessa che in passato la Cina e’ stata “…il centro dell’ universo asiatico, che imponeva la deferenza alle nazioni meno civilizzate alla sua periferia…”. Inoltre, aggiunge l’ ex-diplomatico, “la Cina rimane un Paese con un assetto istituzionale opaco e fragile all’ interno della sua leadership politica l’ insicurezza convive con difficolta’ con la presuntuosa arroganza del potere e con la tracotanza…”. Saran conclude sostenendo che l’ India non puo’ far altro che “…affrontare questa penetrazione e riguadagnare il primato nella sua stessa periferia…quello che stiamo vivendo a Doklam deve essere visto in questa prospettiva”.
Una prospettiva che sembra indicare un inevitabile aggravamento della tensione nei prossimi mesi e anni, quale che che sia la soluzione immediata della crisi bhutanese.
Beniamino Natale
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