Stringer Asia Logo
Share on Google+
news of the day
in depth
Rieducazione nel Xinjiang, i campi sono 'scuole' secondo Pechino
  • Xingjiang
    Xingjiang
Centinaia di migliaia di persone detenute a tempo indeterminato al di fuori di qualsiasi procedimento giudiziario e costrette a subire un lavaggio del cervello basato sulla ripetizione ossessivo di slogan e di formule politicamente “corrette”. Oltre, ci mancherebbe altro, alle “autocritiche” di maoista memoria.

La realta’ di quella che il regime cinese chiama “vocational education and training” nel Xinjiang, e’ ormai emersa con chiarezza grazie alle denunce delle organizzazioni umanitarie di tutto il mondo. A subire questa “rieducazione” sono i membri delle minoranze etniche di religione islamica - in primo luogo gli uighuri, ma anche i kazhaki e gli uzbeki che abitano questa enorme regione che occupa tutto il nordovest della Cina - che il regime tenta disperatamente di assorbire costringedoli ad uniformarsi alla cultura cinese/han e ad accettare la dittatura del Partito Comunista Cinese.

Si puo’ finire in questo tipo di detenzione per “reati” futili come “l’ aver viaggiato all’ estero” o l’ aver manifestato la propria fede religiosa, facendosi crescere “eccessivamente” la barba, portando il velo se si e’ di sesso femminile, o digiunando nei periodi e nelle ore prescritte dalle scritture religiose. Ci possono finire intere famiglie, secondo le dichiarazioni rilasciate da centinaia di uighuri ai pochi mezzi di comunicazione che riescono a raggiungerli.

Dopo aver negato per anni l’ esistenza di questi campi - nei quali fino al gennaio scorso, secondo i ricercatori di Human Rights Watch, erano transitate circa 800mila persone, Pechino ha cambiato registro. Le “facilities” esistono, ma sono una specie di alberghi di lusso dove gli ignoranti uighuri vengono intrattenuti a spese dello Stato e, oltre ad imparare un mestiere, si divertono da matti.

Nulla illustra il significato dell’ aggettivo “orwelliano” meglio dell’ intervista pubblicata il 16 ottobre scorso dall’ agenzia statale cinese, la Xinhua. Nell’ intervista il presidente della Regione Autonoma Uighura del Xinjiang, Shohrat Zakir, afferma tra l’ altro: “…la cafeteria prepara gratis dei pasti nutrienti, i dormitori sono perfettamente equipaggiati con aria condizionata, radio, tv, bagno e doccia…vengono organizzate attivita’ come dibattiti, scrittura, ballo, canto e sport. Molti studenti hanno detto che in precedenza erano stati affliti dal pensiero estremista e non avevano mai partecipato a queste attivita’ artistiche o sportive e solo ora hanno realizzato che la vita puo’ essere veramente piena di colore”. Naturalmente gli “studenti” sono entusiasi, dopo mesi di queste esilaranti attivita’. Uno di loro, citato dal suddetto presidente della Regione Autonoma, avrebbe infatti affermato: “…non capivo la lingua del paese (il mandarino, dato che gli uighuri hanno la loro lingua, che deriva dal turco e non ha nulla a che vedere con la lingua parlata dalla maggioranza cinese), non conoscevo le leggi…non sapevo nemmeno di aver commesso degli errori”…poveretto, stava veramente messo male! Ma niente paura, il Grande Fratello viene a salvarti: “…il governo non mi ha abbandonato”, prosegue lo “studente” nel racconto di Shohrat Zakir, “e mi ha assistito, dandomi da mangiare gratis, un posto dove stare e un’ educazione…”. Meglio di cosi’, si muore!

Non si capisce perche’, pero’, tanti uighuri proseguano ostinatamente in attivita’ sovversive come recarsi all’ estero o pregare secondo i dettami della loro religione! Ne perche’, se e’ il Paradiso che viene descritto nell’ intervista, non sia liberamente accessibile a giornalisti e diplomatici stranieri per i queli visitare il Xinjiang e’ piu’ difficile che recarsi in Tibet, cosa gia’ difficilissima.

La comunita’ internazionale ha rotto da poco il silenzio sulla situazione nel Xinjiang. Il problema e’ stato sollevato da drigenti politici negli USA, in Germania e in Francia (non in Italia, dove il mondo politico e’ unanime nell’ evitare qualsiasi seppur timida critica alla Cina). Per molto tempo, il fatto che gli uighuri sono musulmani e che un gruppo uighuro che ora non esiste piu’ - l’ ETIM - o Movimento Islamico dell’ Est Turkestan (come viene chiamato il Xinjiang dai nazionalisti uighuri) - ha combattuto in Afghanistan prima contro i sovietici poi a fianco dei Taliban contro la coalizione guidata dagli USA e’ stato usato con successo da Pechino per giustificare le sue azioni rivolte contro la popolazione uighura del Xinjiang. Nel corso dell’ attacco ai Taliban del novembre/dicembre 2001, l’ ETIM fu annientato.

I cinesi hanno denunciato una serie di attentati che sarebbero stati compiuti da estremisti di questo negli anni successivi. Nessuno ha ritenuto credibili queste affermazioni. In un articolo pubblicato dalla rivista The Diplomat nel 2017, l’ analista Adrien Morin ha scritto: “…mentre il governo cinese sostiene che grosse cellulle dell’ ETIM sono responsabili degli atti di terrorismo commessi nel Xinjiang e in generale delle azioni violente degli uighuri, i fatti indicano che queste azioni sono iniziative spontanee intraprese da predicatori religiosi o da scuole islamiche clandestine”. “La politica cinese contro il terrorismo - prosegue Morin - puo’ aver avuto successo nel combattere organizzazioni come l’ ETIM ma ha fallito nell’ affrontare l’ opposizione regionale al Partito Comunista nel Xinjiang. Al contrario, la mano pesante fornisce agli individui stanchi della repressione religiosa e culturale un motivo in piu’ per ricorrere ad atti di violenza”. Negli ultimi anni Pechino ha denunciato la presenza di combattenti uighuri in Siria, nelle fila dei gruppi jihadisti, cosa possibile ma non provata. la Turchia di Recep Tayyp Erdogan si e’ autoproclamata protettrice degli uighuri e potrebbe essere interessata a soffiare sul fuoco, ma che questo avvenga effettivamente e che il “sultano” anteponga le sue ambizioni regionali ai buoni affari che fa con i cinesi e’ tutto da dimostrare.

Nell’ allucinante intervista diffusa dalla Xinhua, ci sono alcune frasi che ricorrono di continuo. Per esempio, “l’ illuminata leadership della dirigenza Partito Comunista, il cui cuore e’ il compagno Xi Jinping”, ma anche “secondo quanto previsto dalla legge”. La rieducazione e’ stata decisa “secondo quanto previsto dalla legge”, dalle autorita’ del Xinjiang. Nella realta’, non e’ chiaro chi gestisca i programmi dato che, come hanno riferito numerosi testimoni, nessun documento scritto viene presentato quando le vittime vengono arrestate e condotte nelle “scuole professionali”.

In un articolo sul blog “Lawfare”, lo studioso Donald Clarcke ha chiarito che “sia secondo la Costituzione (cinese) che secondo gli articoli 8 e 9 della sua Legge sulla Legislazione, la restrizione fisica della liberta’ e’ consentita solo attraverso documenti stilati dal National People Congress (il “Parlamento” che si riunisce una volta all’ anno a Pechino) o dal suo Comitato Permanente”. “Una vasta serie di prove dimostrano che le detenzioni nei campi di rieducazione non si basano su alcun documento del genere”. In poche parole, quello che sta avvenendo nel Xinjiang e’ illegale secondo la stessa legge cinese. La cosa certamente non spaventa i mandarini di Pechino - che regolarmente perseguitano senza nessuna base legale i parenti dei dissidenti come Liu Xia, la vedova del premio Nobel per la pace Liu Xiaobo - ma dovrebbe spingere la comunita’ internazionale a chiedere ai dirigenti cinesi conto delle loro azioni.
Beniamino Natale
@COOKIE1@
@COOKIE2@