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IL XINJIANG, UNA PRIGIONE A CIELO APERTO
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Nel Xinjiang, l’ enorme regione che occupa la porzione nordoccidentale della Cina, la situazione non fa che peggiorare. Negli ultimi mesi il regime di legge marziale di fatto che esiste dal 2009 ha subito un’ ulteriore stretta con la nomina a capo del Partito Comunista Cinese regionale di Chen Quanguo, un dirigente che gia’ si e’ distinto per la decisione con la quale ha applicato la “linea dura” del Partito nel vicino Tibet.
Secondo le denunce delle organizzazioni umanitarie internazionali, per i residenti della provincia - il cui nome ufficiale e’ Xinjiang Uighur Autonomous Region - e’ sempre piu’ difficile ottenere un passaporto. Non solo: da quando, in agosto, Chen si e’ installato sulla sua nuova poltrona, i pattugliamenti notturni dei quartieri abitati dalla minoranza etnica degli uighuri si sono moltiplicati. Le irruzioni nelle case private degli uighuri, secondo testimoni citati da Radio Free Asia (RFA), sono la normalita’. “Succede una o due volte, tutte le settimane”, ha dichiarato all’ emittente un abitante della contea di Qaraqash che si trova nella prefettura di Hotan (Hetian in cinese), nella fascia meridionale del Xinjiang. Un’ altro testimone, che si e’ qualificato come un “agente della polizia ausiliaria nella township di Aqsaray (nella stessa zona)”, ha affermato che “la nostra situazione per quanto riguarda la sicurezza si e’ fatta piu’ severa negli ultimi mesi”. Ricordiamo che molti agenti della polizia ausiliaria sono di etnia uighura, cosa che li rende piu’ disponibili a parlare con i giornalisti stranieri che riescono a raggiungerli. Il Xinjiang e’ infatti chiuso di fatto agli osservatori stranieri, in particolare ai giornalisti. Alla fine del 2015 la corrispondente del Nouvelle Observatuer, Ursula Gauthier, colpevole di aver cercato di raccogliere informazioni di prima mano, e’ stata espulsa dalla Cina. Una significativa eccezione e’ stata fatta, sempre nel 2015, per George Osborne, allora Cancelliere dello Schacchiere (ministro delle finanze) britannico che si e’ recato a Urumqi parlando di economia ed evitando accuratamente di accennare alla situazione dei diritti umani e civili. Osborne, al quale questa furbata non ha portato fortuna, si illudono che la Cina - oggi ricca e potente ma sempre totalitaria - risolva i problemi del suo Paese e, dato che la pensa cosi’, ha tutte le ragioni per non parlare di quello che succede veramente nel Xinjiang.
“Ciascun villaggio - prosegue il miliziano citato da RFA - mette oggi in opera un sistema di pattugliamento che copre 24 ore, con ciascuna pattuglia formata da quattro funzionari di polizia e quattro o sei ausiliari. Posti blocco vengono istituiti in tutte le township e anche in alcuni villaggi piu’ piccoli”.
Anche le difficolta’ che gli uighuri del Xinjiang - come i tibetani - incontrano da molti anni per ottenere un passaporto si sono moltiplicate negli ultimi mesi.
Il Xinjiang confina con le repubbliche dell’ Asia Centrale, l’ Afghanistan, il Pakistan e l’ India. E’ ricca di materie prime ed e’ in gran parte desertica e montuosa. Nei decenni passati, il Xinjiang - che i nazionalisti locali chiamano Turkestan dell’ Est - e’ stato meta di milioni di emigrati da altre provincie della Cina: oggi gli immigrati sono circa 10 milioni, gli uighuri - nativi della regione, turcofoni e musulmani - sono 9 milioni mentre circa un altro milione di abitanti e’ composto dalle minoranze etniche che vivono sui confini con l’ Asia centrale e meridionale. La Cina e’ una delle potenze - le altre sono la Russia, la Turchia e l’ Iran - che si contendono il controllo dell’ Asia Centrale. Negli ultimi anni la Turchia di Recep Tayyip Erdogan e’ molto attiva in tutta la regione. Il governo di Pechino sospetta Erdogan di aiutare le frange militanti della popolazione uighura, che rimangono deboli, disorganizzate e male armate. Un gruppo di uighuri e turchi e’ ritenuto il responsabile dell’ attentato del 17 agosto 2015 al al santuario di Erawan, a Bangkok, che ha provocato la morte di 20 persone. Il santuario e’ molto popolare tra i turisti cinesi e l’ attacco potrebbe essere stato una rappresaglia per il rimpatrio forzato di 109 uighuri che erano fuggiti in Thailandia.
Si ha spesso notizia di gruppi di uighuri che cercano di oltrepassare la frontiera con uno dei Paesi che confinano con la Cina da dove sperano di raggiungere la Turchia.
L’ organizzazione umanitaria Human Rights Watch afferma che le autorita’ del Xinjiang hanno ordinato a tutti i residenti nella regione di consegnare i loro passaporti per una “revisione”. L’ ultima data possibile era stata fissata in un primo momento all’ ottobre 2016 ed in seguito e’ stata spostata al febbraio 2017. HRW ricorda in un articolo pubblicato sul suo sito web che gia’ da tempo i requisiti che i residenti della Regione Autonoma Uighura devono fornire sono ben piu’ numerosi di quelli richiesti ai cittadini cinesi di etnia han. Essi devono infatti consegnare un campione del loro DNA, le impronte digitali, un campione della loro voce e un’ immagine di loro stessi tridimensionale.
Il gruppo umanitario sottolinea inoltre che “il sequestro dei passaporti nel Xinjiang non ha alcuna base nella legislazione cinese”. Infatti l’ articolo 2 della legge sui passaporti della Repubblica Popolare Cinese stabilisce che “nessun individuo o organizzazione puo’…sequestrare illegalmente i passaporti”. L’ articolo 15 precisa che eventuali sequestri possono essere effettuati dalle autorita’ giudiziarie e di polizia solo nel caso che il titolare del passaporto sia coinvolto in un processo. Prosegue HRW: “in quanto firmatario dell’ International Convenant on Civil and Political Rights il governo cinese non puo’ interferire con il diritto in base al quale “tutti devono essere liberi di lasciare qualsiasi Paese, incluso il loro”.
I media cinesi, che sono strettamente controllati dal governo, pubblicano notizie frammentarie e contraddittorie sulla situazione nella regione. Quadretti che dipingono una realta’ idilliaca di pace e di lavoro si alternano a quelli che descrivono scenari da guerra civile non dissimili da quelli che si riferiscono agli avvenimenti in Siria ed Iraq.
Prendiamo per esempio quella diffusa dai media del regime il 20 novembre 2014, cioe’ pochi giorni dopo il sanguinoso attacco dello Stato Islamico a Parigi. La notizia e’ che un gruppo di 28 “terroristi” - - le virgolette, come vedremo, sono necessarie - erano stati “annientati” dalle forze di sicurezza nella prefettura di Aksu, dopo “una caccia durata 56 giorni”. Tre delle persone uccise nell’ operazione di Aksu erano considerate responsabili del sanguinoso attacco alla miniera di carbone di Sogan del 18 settembre, nel quale erano state assassinate 16 o 18 persone secondo i media cinesi e “almeno 50” secondo Radio Free Asia, che era stata la prima a dare notizia del massacro. In precedenza i media cinesi avevano taciuto sia la notizia dell’ attacco che quella della risposta delle forze di sicurezza. Secondo le ricostruzioni, che si devono piu’ ai media internazionali che a quelli cinesi, persone armate di coltello hanno prima aggredito i guardiani della miniera, poi gli operai che riposavano nel loro dormitorio e infine la residenza del proprietario della miniera stessa. I “dirigenti” dell’ attacco alla miniera sono stati individuati in Musa Toxtiniyaz, Metet Eysa e Tursun Jume - evidentemente uighuri, mentre le vittime erano in maggioranza cinesi. I tre sono stati scovati in una grotta sulle montagne del Xinjiang, dove si erano rifugiati con altre persone che, secondo quelle che RFA definisce “fonti locali”, erano in gran parte loro parenti: mogli, figli, nuore, alcuni bambini. Tutti coloro che erano nascosti con i tre terroristi sono stati uccisi - da una bomba lanciata nella grotta secondo alcuni media, a colpi di lanciafiamme secondo altri.
Beniamino Natale
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