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Conflitti in corso
  • Uri attack
    Uri attack
Non si tratta di una guerra formale, certamente. O almeno non del tutto e alcuni dicono semplicemente non ancora. Ma la quinta guerra tra Pakistan e India è decisamente in corso. Una guerra combattuta al momento con armi che non lasciano morti sul terreno, anche se i morti continuano a esserci, ma che rischiano di avere per entrambi i paesi ripercussioni e conseguenze molto più letali di un'azione militare. Dopo mesi e mesi di scaramucce a mezzo stampa e dichiarazioni infuocate rilasciate dai leader dei due paesi e dai loro collaboratori, il conflitto diplomatico-politico è diventato un vero e proprio conflitto qualche giorno fa: quando a Uri, nel Kashmir indiano, è stata attaccata dai soliti noti una base dell'esercito di New Delhi. Il bilancio di diciotto morti, ma soprattutto l'audacia dell'azione, ha scatenato l'inferno nella regione. Da una parte e dall'altra. In India, la stampa e i generali a mezzo stampa, hanno chiesto a gran voce vendetta per lo smacco subito. Secondo gli inquirenti l'attacco di Uri sarebbe stato compiuto da un gruppo finanziato e telecomandato da Islamabad, ma non solo. A differenza di altre volte, a organizzare l'attacco e a pianificare l'azione sarebbero stati soltanto i terroristi ma il Border Action Team, un gruppo che opera al confine e che mescola appartenenti ai corpi speciali pakistani e militanti. L'intelligence indiana ha dichiarato di avere avvertito l'esercito di un attacco imminente a opera delle forze speciali pakistane e, sempre secondo gli inquirenti, le armi recuperate erano armi in dotazione all'esercito e ai corpi speciali. Inutile dire che Islamabad ha negato ogni addebito, stracciandosi le vesti come avviene dopo ogni attacco terroristico in India e aggiungendo anche che “il Pakistan non ha mai accusato nessuno senza prove”. Il premier indiano Narendra Modi ha giurato vendetta, aggiungendo che l'India avrebbe reagito a tempo e a luogo e nei modi che più gli si addicono. Ne è seguita la solita dichiarazione dai toni roboanti dell'esercito pakistano, uno dei meglio armati al mondo che però, in tutta la sua storia, non è mai stato in grado di vincere una guerra. La tanto temuta azione militare non c'è stata. Forse. Perchè nei giorni scorsi è girata voce di un'azione militare indiana oltre confine, nel Kashmir pakistano, che avrebbe lasciato sul terreno una ventina di militanti e circa duecento feriti. Non ci sono state conferme né da Islamabad né da Delhi, ma una serie di indizi confermerebbero l'accaduto. Ma l'azione militare, se c'è stata, è servita soltanto a tenere buoni i militari e gli estremisti di destra indiani mentre la vera offensiva si è trasferita nei palazzi del potere, nelle sedi diplomatiche e alle Nazioni Unite. Narendra Modi ha annunciato di voler 'isolare diplomaticamente' il Pakistan: non che Islamabad abbia bisogno dell'aiuto di nessuno per farlo, negli ultimi anni è stata perfettamente in grado di farlo da sola grazie alla politica estera pilotata al solito dall'esercito, ma tant'è. L'azione di Uri si è rivelata per i pakistani l'ennesima caporetto: compiuta pochi giorni prima di un attesissimo discorso alle Nazioni Unite del premier Nawaz Sharif, discorso in cui Sharif intendeva sollevare la questione delle violazioni dei diritti umani nel Kashmir indiano provando ancora una volta a internazionalizzare la questione. Sharif ha parlato, un discorso definito “una farsa” perfino dalla rappresentante pakistana alle Nazioni Unite Maleha Lodi, in un tweet reso pubblico a sua insaputa. Alle accuse pakistane sul Kashmir, Delhi ha scelto ormai da mesi di controbattere davanti alla comunità internazionale sollevando la questione del Baluchistan, ma non solo. A esercitare il diritto di replica nei confronti di Nawaz Sharif è stato inviato un diplomatico di non molto rilievo. Soltanto giorni dopo il ministro degli Esteri indiano Sushma Swaraj si è recata Washington per parlare di terrorismo e di stati che sponsorizzano il terrorismo. Forte anche di una mozione da poco presentata da due deputati Usa al Congresso, mozione in cui si chiede di dichiarare il Pakistan 'sponsor del terrorismo'. A latere dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, rappresentanti dell'India, dell'Afghanistan e degli Usa si sono inoltre incontrati per discutere sul modo di aggirare il blocco di Islamabad al traffico di merci tra India e Afghanistan, in attesa dello sviluppo del porto iraniano di Chabahar. I pakistani non hanno gradito, come non hanno gradito il ritiro di New Delhi dal prossimo meeting della Saarc che si svolgerà in territorio pakistano. Ma non è tutto. Con una clamorosa mossa a sorpresa, e con l'intento dichiarato di voler 'punire' il Pakistan, Modi ha annunciato di voler sospendere l'Indus Water Treaty, che non era mai stato sospeso in precedenza, nemmeno durante le guerre tra India e Pakistan. Decisione senza precedenti che segna un punto di svolta nella politica estera indiana e che se messa in atto, avrebbe su Islamabad effetti peggiori di quelli dell'atomica. Riassumendo in pillole una questione su cui si sono spesi tonnellate di inchiostro e fiumi di parole, la questione è questa: i rapporti tra i due paesi in materia di gestione dei corsi d’acqua sono regolati dall'Indus Water Treaty, firmato nel 1960 con la benedizione della Banca Mondiale. Il trattato attribuisce al Pakistan lo sfruttamento dell’ottanta per cento del sistema di affluenti del fiume Indo. L’India, nel cui territorio il fiume nasce, è autorizzata ad adoperare entro certi limiti le acque dell’Indo e dei suoi affluenti a scopi agricoli, industriali e, ovviamente, per dissetare le popolazioni che vivono lungo il corso dei fiumi. Nello specifico, adesso l’India ha intenzione di sviluppare appieno la costruzione di un mega-progetto di dighe su una serie di affluenti dell’Indo che si trovano dalla parte indiana del Kashmir. Progetto estremamente controverso che risale a diversi anni fa. Ma soprattutto progetto che, secondo Islamabad, sarebbe come “un fucile puntato alla tempia” del Pakistan. Leggi: se l’India chiudesse i rubinetti, il Kashmir pakistano e soprattutto la dominante regione del Punjab si troverebbero in ginocchio in meno di venti giorni. Islamabad si sta freneticamente appellando alla Banca Mondiale, ma alle accuse pakistane New Delhi ha sempre risposto facendosi forte di un parere emanato nel 2008 da osservatori delle Nazioni Unite secondo cui gran parte delle preoccupazioni pakistane sarebbero infondate. Il Pakistan, messo alle corde, ha addirittura accusato l'India di aver programmato l'assalto di Uri per fare incolpare il Pakistan dalla comunità internazionale, e minaccia di spingere Pechino a restituire il favore agli indiani chiudendo il flusso verso l'India del fiume Yarlung Zangbo. Quello stesso fiume che, lungo la sua discesa verso il mare, attraversa il confine indiano e prende il nome di Brahmaputra. Dal Brahmaputra dipende in gran parte l’economia di una vasta porzione degli stati del nordest indiano, l’esistenza stessa dell’isola fluviale di Majuli e l’equilibrio dell’ecosistema himalayano. La guerra è appena cominciata.
Francesca Marino
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