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State killed Karima Baloch
  • Karima Baloch
    Karima Baloch
Che cosa si può dire di una donna di appena 37 anni che è stata ammazzata? Che era stata per quasi dieci anni il capo della Baloch Students Organization, un gruppo che lotta per i diritti dei Baloch e che in Pakistan, al contrario dei Taliban e di altre organizzazioni terroristiche internazionali, è fuorilegge. Che era stata una studentessa di psicologia, e che si era ritrovata a essere il leader della BSO, prima donna in assoluto a ricoprire quel ruolo, quasi suo malgrado. Che aveva vissuto per quasi dieci anni da fuggiasca nel suo paese fino a quando, nel 2015, era riuscita a scappare in Canada. Che all'arrivo in Canada si era strappata di dosso l'hijab che aveva dovuto indossare di forza per dieci anni perchè essere velata la aiutava a confondersi tra la folla, e che aveva dichiarato: “Mi sento finalmente libera, e al sicuro”. Si chiamava Karima Baloch, e nel 2016 la BBC l'aveva inserita tra le cento donne più 'influenti e da cui trarre ispirazione' del mondo. Il suo corpo è stato ritrovato a Toronto dentro a un canale. Come se invece del civilissimo Canada fosse ancora il Balochistan, e il corpo fragile di Karima fosse uno dei tanti che ogni giorno si ritrovano gettati ai bordi delle strade con segni di tortura. Era scomparsa da due giorni, proprio come fosse il Balochistan e non Toronto, come fosse soltanto un altro delle migliaia di attivisti, giornalisti, dissidenti, uomini donne o bambini che siano, che scompaiono ogni anno nella martoriata provincia illegalmente occupata dal Pakistan. Le modalità della sua morte sono molto, troppo simili, a quelle della morte di un altro Baloch, un giornalista investigativo rifugiatosi all'estero per sfuggire alle Death Squads comandate dall'ISI e dall'esercito pakistano: Sajid Hussain è stato ritrovato, dopo essere scomparso per quasi un mese, dentro a un fiume a Uppsala, Svezia, lo scorso marzo. La sua morte è ancora avvolta nel mistero. L'oltraggio manifestato da una serie di organizzazioni internazionali, invece, si è spento da tempo. E così accadrà per Karima. Gli investigatori investigheranno in direzioni sbagliate e guidate da quello stesso paese da cui Karima e Sajid erano scappati, sussurri e grida cominceranno e sono difatti già cominciati. Ma, come direbbe Shakespeare, “siamo venuti a seppellire Karima, non a lodarla”. Perchè Karima, lo sanno gli attivisti, i giornalisti ma anche i governi interessati, non sarà purtroppo l'ultima a morire. Molti dissidenti pakistani sono stati informati ufficialmente dalle intelligence dei governi dei paesi in cui si sono rifugiati, dell'esistenza, credibile e documentata, di complotti dei servizi segreti pakistani ai loro danni. Sono in molti, e i loro nomi sono anche famosi o addirittura famosissimi, a vivere con la minaccia di un possibile, anzi probabile, attentato alla loro vita: non in Pakistan, ma in Francia, in Olanda, in Inghilterra, negli Stati Uniti. O in Svezia e in Canada. E non si tratta di fantapolitica. L'ex presidente ed ex-capo dell'esercito Musharraf ha dichiarato in un'intervista che ancora circola sui social media, che è perfettamente accettabile ammazzare “i traditori” all'estero. Aggiungendo che: “Lo fanno tutti”. Specialmente, a quanto pare, da quando alle spalle degli assassini di Stato pakistano si trovano i servizi segreti cinesi, che regolarmente interrogano quelli che l'ISI preleva e che occupano, militarmente e commercialmente, il Balochistan con la scusa del China-Pakistan Economic Corridor. Il CPEC ha ulteriormente privato i Baloch di diritti e di fonti di sostentamento. Per “ragioni di sicurezza” il porto di Gwadar è stato fortificato e l'accesso a un'area di chilometri è proibito ai cittadini. Migliaia di pescatori hanno perso la loro unica fonte di sostemento, migliaia di donne e bambini hanno perso accesso all'acqua potabile. Ma i governi occidentali tacciono. Tacciono perchè Islamabad sta mettendo in atto un'altra delle strategie privilegiate di Pechino: lo shopping, a cari prezzi, di deputati europei, politici locali, giornalisti e membri di think-tank anche prestigiosi. Tacciono perchè tutti, a cominciare dall'Italia, vendono armi al Pakistan anche quando è contrario sia alla Costituzione che alle norme europee. Tacciono perchè il Pakistan ricatta, nemmeno tanto velatamente, il resto del mondo con la minaccia della bomba atomica che potrebbe finire in mano ai terroristi. Tacciono perchè col Pakistan si sono, ci siamo, alleati per combattere quegli stessi terroristi creati, addestrati e gestiti dal Pakistan. Permettere però che dei rifugiati politici, a cui sono stati garantiti asilo e protezione, vengano impunemente ammazzati in un paese democratico, dare ascolto a rapporti truccati delle stesse intelligence dai cui abusi quei rifugiati cercavano di sfuggire, passa ogni limite di umana decenza e anche di miopia politica. Se la morte di Karima, come la morte di Sajid, rimane impunita, non sarà l'ultima. E prima o poi, a essere ammazzati nel centro di Londra o di New York, non saranno soltanto i rifugiati Baloch ma anche gli attivisti occidentali, quei membri di Amnesty o di Reporter Sans Frontieres che si battono ogni giorno perchè i diritti umani e civili degli individui siano rispettati. La morte di Karima, la morte di Sajid e gli abusi del Pakistan non riguardano soltanto i Baloch, ma tuti noi.
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