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Donald, Xi e Kim: un'infernale partita a tre
  • Kim Jong-un
    Kim Jong-un
Donald Trump, Xi Jinping, Kim Jong-un. Un triangolo pericoloso, nel quale tutti stanno giocando col fuoco. Per la prima volta dalla crisi dei missili del 1962 tra USA, URSS e Cuba, si intravede la possibilita’ che il tabu’ di uno scambio atomico, in vigore dopo il dramma di Hiroshima e Nagasaki, venga violato.
Cominciamo dal presidente americano. Prima, ha umiliato il numero uno cinese bombardando la Siria mentre lui era in visita negli USA - una perdita di faccia grave per un leader cinese e gravissima per un leader cinese come Xi, che fatto del nazionalismo la sua bandiera. Poi, cercando forse di riparare al danno fatto “dandogli un po’ di faccia”, come dicono i cinesi, ha affermato che Xi gli ha impartito una lezione di storia, spiegandogli le complicate e difficili relazioni che legano la Cina e la Corea del Nord. “Dopo averlo ascoltato per dieci minuti, ho capito che le cose non sono cosi’ semplici”, ha dichiarato con una insolita umilta’ The Donald in un’ intervista al Wall Street Journal.
Nei giorni seguenti, Trump ha compiuto un passo falso: prima ha sostenuto di aver mandato un’ “armada” a incrociare davanti alle coste della Corea del Nord ma in seguito si e’ scoperto che la flotta partita da Singapore si era diretta a sud, verso l’ Oceano Indiano, per un’ esercitazione con l’ Australia. In un pezzo pubblicato il 21 aprile il New York Times ha spiegato che Trump “ha reso chiaro che non vuole essere consultato per ogni attacco, e che vuole che i comandanti sul campo abbiano maggiore autorita’ per muoversi rapidamente contro il nemico”. Di conseguenza l’ ammiraglio Harris B.Harris jr., l’ ufficiale di grado piu’ alto nel Pacifico, ha agito di sua iniziativa senza sapere che i movimenti della flotta sarebbero automaticamente stati collegati alla situazione di tensione con la Corea del Nord. Brian McKeon, una dei responsabili del Pentagono sotto l’ Amministrazione di Barack Obama, ha affermato che “la parole contano, e ci sara’ un costo per la credibilita’ degli USA in Asia per questo sbaglio”. Insomma, quello di Trump e’ stato un bluff miseramente fallito.
Veniamo al cinese Xi Jingping. Non sappiamo cosa abbia detto a Trump ma possiamo provare a immaginarlo.
La Cina e la Corea del Nord sono “Paesi fratelli”, secondo una definizione di stampo stalinista ancora molto diffusa in Cina. Pechino fu costretta da Stalin a intervenire in Corea dopo il fallito attacco di Kim Il-sung contro il sud del Paese. Le forze nordcoreane erano state respinte dagli americani, che agivano sotto le bandiere dell’ ONU e si stavano avvicinando al confine cinese. I volontari cinesi riuscirono a respingere i marines di Douglas McArthur fino al 38esimo parallelo, dove a tutt’ oggi si trova il confine tra i due Paesi. Ma la Cina pago’ un prezzo caro per questo successo, dato che fu costretta a rinviare l’ attacco a Taiwan - l’ isola che era stata occupata dai nazionalisti del Guomindang e che Pechino rivendica come suo territorio. Il rinvio permise agli USA di schierarsi a difesa dell’ isola, che non solo ha mantenuto fino ad oggi la sua indipendenza, ma ha anche creato istituzioni democratiche che non piacciono affatto al regime autoritario di Pechino.
Negli anni seguenti, mentre la Cina di Deng Xiaoping si apriva agli investimenti esteri e cercava nuovi rapporti con la comunita’ internazionale, la Corea del Nord rimase - ed e’ tuttora - una dittatura di fronte alla quale tutte le altra impallidiscono. Neanche Stalin, l’ “imperatore comunista” era riuscito a creare una monarchia marxista ereditaria. Il gruppo dirigente e’ estremamente ristretto - si parla di non piu’ di due-tremila persone- strette intorno al leader di turno: a Kim Il-sung successe il figlio, Kim Jong-Il, e alla morte di questo il potere e’ passato al nipote e figlio Kim Jong-un (fu il secondo Kim ad ordinare il primo esperimento atomico, nel 2006). I dirigenti devono per forza di cose restare aggrappati al potentissimo “numero uno”: i loro privilegi, la loro stessa sopravvienza e’ legata a quella del leader. Mentre gran parte della popolazione soffre la fame, i Kim e i loro fedelissimi vivono nel lusso, importando illegalmente i migliori prodotti occidentali. Inoltre il controllo sulla popolazione e’ capillare ed e’ assicurato dai militari che in nome dello slogan “prima di tutto l’ esercito”, ideato da Kim secondo, hanno perlomeno assicurate razioni alimentari decenti. In una situazione di questo tipo, anche per i cinesi e’ difficile infiltrarsi nel sancta sanctorum della monarchia nordcoreana. I rapporti, piu’ che tra i partiti “fratelli” sono tra militari. Non per niente e’ l’ esercito cinese, la People’s Liberation Army o PLA difende a spada tratta la Corea del Nord. Il pensiero strategico cinese si basa sulla nozione che prima o poi un confronto - non necessariamente una guerra - con gli USA per il controllo del Pacifico e’ inevitabile, dato che la Cina di Xi Jinping si propone di diventare una potenza il cui ruolo guida non deve essere discusso - almeno in Asia. In questa prospettiva non si puo’ in nessun caso abbandonare un alleato come l’ esercito nordcoreano - fanatizzato da decenni di propaganda e ben armato. Gli altri - soprattutto gli imprenditori e i commercianti del nordest cinese - sono esasperati da Pyongyang, che continua a fare promesse di apertura che vengono regolarmente rinnegate dai fatti. Le opinioni di questa parte importante di opinione pubblica sono state recentemente espresse dal professor Shen Zhihua dell’ Universita’ di Shanghai che in una conferenza a Dalian, nel nordest della Cina e non lontana dal confine con la Corea del Nord, ha sostenuto che “gli interessi fondamentali di Pechino e Pyongyang divergono” e che Pechino dovrebbe avvicinarsi piuttosto alla Corea del Sud, lasciando lo scomodo alleato al suo destino. Il fatto che il discorso di Shen sia circolato largamente in Cina senza essere censurato la dice lunga sullo stato delle relazioni tra i due Paesi “fratelli”. Da qui a provocare veramente la caduta del regime di Pyongyang con tutte le sue conseguenze - migliaia di rifugiati affamati nel nord della Cina, i marines (poco piu’ di 28mila) di stanza in Corea del Sud che arrivano ai confini con la Cina, ecc. - ce ne corre.
E veniamo all’ ultimo membro del terzetto: il poco piu’ che trentenne Kim Jong-un. Il giovane Kim III e’ salito al potere nel 2011e ha ordinato tre test nucleari, l’ ultimo dei quali nel settembre del 2016. Come suo padre, Kim sa che la sua vera arma e’ la possibilita’, in caso di attacco americano, di una terribile rappresaglia contro Seul, una vibrante metropoli con 10 milioni di abitanti che si trova a pochi chilometri dalla frontiera e che puo’ essere colpita con armi convenzionali. Una rappresaglia che sarebbe possibile anche nel caso, per altro improbabile, che un “primo colpo” americano metta del tutto fuori uso le sue armi nucleari. Non e’ chiaro se il nuovo sistema di difesa di produzione americana che Seul sta schierando (il Terminal High Altitude Area Defense o THAAD) possa modificare questa situazione. I nordcoreani citano spesso il caso del libico di Muammar Gheddafi, che ha accettato di bloccare lo sviluppo di armi nucleari e che dopo pochi anni e’ stato deposto e ucciso in una rivolta sostenuta da Europa e USA, ma piu’ che altro, il programma atomico serve a tenere unito il gruppo dirigente, oltreche’ a minacciare i vicini.
Sembra non esserci una via d’ uscita per nessuno dei tre componenti del nostro terzetto, dunque, che appaiono condannati a recitare lo stesso, vecchio e ormai piuttosto noioso copione usato dai loro predecessori.
Non resta che contare sull’ imprevedibilita’ della storia, sperando sempre in bene.
Beniamino Natale
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