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India e Cina a un passo dalla guerra di confine
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Quello che sappiamo dei violenti scontri tra soldati indiani e cinesi avvenuto il 15 giugno in una remota aerea del Ladakh, sulla frontiera hilamalayana tra i due paesi, e’ poco, ma abbastanza per farci temere drammatici sviluppi: almeno 20 “jawan’” indiani sono morti, mentre tra i cinesi ci sarebbero stati 43 feriti, alcuni dei quali potrebbero essere morti. Lo scontro e’ avvenuto nella Galwan Valley, nei pressi del lago Pangong, nel Ladakh sudorientale, nei pressi massiccio dell’ Aksai Chin, occupato dall’ Esercito Popolare di Liberazione cinese dal 1962, anno della guerra tra i due paesi vinta dalla Cina.

Le notizie vengono tutte da fonti indiane: i comunicati dell’ esercito, che prima ha parlato di tre morti, poi ha aggiunto che altri 17 feriti erano morti, e i mezzi d’ informazione. I media cinesi - tutti controllati dallo Stato - hanno relegato la notizia nelle pagine interne quando non l’ hanno ignorata. Il quotidiano Global Times, che regolarmente dedica molto spazio alle vicende internazionali, ha addirittura citato le fonti indiane per accennare alle vittime cinesi della battaglia.

Un fatto strano, e almeno fino ad ora inspiegabile, e’ che, sempre secondo i militari indiani, “non sono stati sparati colpi di armi da fuoco”. Forse dietro quest’ espressione c’ e’ qualche ragione politico/diplomatica, ma certo e’ sorprendente: c’ e’ uno scontro tra militari professionisti di due eserciti che provoca almeno 20 morti e 43 feriti e tutti colpiti da bastoni o da pietre…

Comunque siano andate le cose, quello che e’ sicuro e’ che la tensione sulla frontiera tra i due giganti asiatici non era cosi’ alta da decenni. Ad innescare gli scontri ci sarebbero state le proteste della Cina per una strada che gli indiani stanno costruendo sulla loro sponda del lago Pangong. La cosidetta Line fo Actual Control (LAC), il confine provvisorio, passa dentro al lago. Sulle sue rive, o molto vicino, sorgono otto picchi chiamati “fingers” dai geografi che sono ritenuti di grande importanza strategica perche’ permettono di controllare sia la valle di Galwan che quella di Chusul, vale a dire due aree che sono state fondamentali nella guerra del 1962.

La strada indiana faciliterebbe i movimenti dei militari tra i vari “fingers”, secondo le accuse cinesi. Gli esperti indiani ribattono che i cinesi hanno fatto qualcosa di molto simile nel 1999, quando l’ India era occupata a combattere contro l’ esercito pakistano a Kargil ed era stata costretta a sguarnire altri posti di frontiera per mandare al fronte piu’ uomini possibile. Una necessaria parentesi: l’ attacco pakistano a Kargil, che si trova ad ovest del Ladakh, fu l’ ultimo tentativo di risolvere militarmente l’ intricata situazione di quello che fu il regno del Jammu e Kashmir. Fu un attacco escogitato dall’ allora presidente pakistano - e generale - Pervez Musharraf e mise in seria difficolta’ l’ India, che aveva trascurato di controllare i movimenti del “nemico” in una remota zona di alta montagna. Buon calcolo militare ma pessimo calcolo politico: i pakistani (che sono alleati di ferro dei cinesi), speravano che la comunita’ internazionale sotto la guida degli USA sarebbe intervenuta in loro favore, mentre avvenne il contrario e furono costretti ad abbandonare le posizioni che avevano conquistato con la loro audace offensiva. La guerra non fu dichiarata e la pubblicistica internazionale decise di degradarla battezzandola “conflitto di Kargil” per motivi che mi risultano incomprensibili. Nei combattimenti morirono migliaia di soldati delle due parti. Come corrispondente dell’ ANSA da New Delhi, coprii gli avvenimenti, recandomi per due volte al fronte e ricordo i soldati indiani, inferociti, che gridavano contro noi giornalisti; “perche’ diavolo (why the hell), non la chiamate una guerra, i nostri compagni muoiono…”.

Ma torniamo agli scontri di quest’ anno.Le attivita’ di costruzione di strade e di edifici - strutture permanenti che contraddicono lo status “provvisorio” del confine - fervono dalle due sponde della LAC e sono spesso causa di schermaglie militari e diplomatiche.

Difficile dire cosa abbia provocato l’ improvviso acutizzarsi della crisi. Sicuramente c’ entra il fatto che sia il regime cinese che il governo indiano sono fortemente nazionalisti e aggressivi; si tratta di governi che hanno un largo consenso tra i loro cittadini ma sanno di dover affrontare nei prossimi mesi le difficolta’ economiche che seguiranno la crisi del COVID 19, che in India infuria e che in Cina potrebbe avere una seconda ondata, devastante quanto la prima. In questa situazione, sia Pechino che New Delhi potrebbero essere tentate di cercare colpi di teatro che distraggano l’ opinione pubblica e, meglio, facciano stringere i citttadini intorno al loro governo, una reazione naturale di fronte ad un minaccioso nemico straniero. Nell’ immediato e’ difficile anche capire come possano gestire la cosidetta “de-escalation” che entrambi dicono di volere.

Tutta l’ intricata vicenda dei confini tra Cina e India, alle quali dobbiamo aggiungere il Pakistan, nasce e ruota intorno al destino dell’ ex-principato del Jammu e Kashmir. Il J&K era retto dalla dinastia hindu dei Dogra e, al momento dell’ indipendenza dell’ India, nel 1947, comprendeva la valle del Kashmir (popolazione in grande maggioranza musulmana), l’ area di Jammu (a maggioranza hindu) e il Ladakh, culturalmente parte del Tibet, abitato da un piccola minoranza di buddhisti (che sono maggioritari solo nel distretto di Leh, la capitale). Sulla popolazione totale, i musulmani sono il 70% e il principato avrebbe dovuto entrare a far parte del Pakistan. Invece, il sovrano hindu decise per l’ annessione all’ India, che avrebbe dovuto essere confermata da un referendum che non si e’ mai tenuto. Irregolari pakistani invasero il Kashmir e furono respinti dall’ esercito indiano assicurandosi pero’ il possesso di due aree: quella che oggi e’ chiamata Azad Kashmir (Kashmir libero, in contrasto con il Kashmir “occupato dall’ India”) e i cosidetti Northen Territories (oggi Gilgit -Baltistan) abitati da una minoranza di orgine tibetana in gran parte convertita all’ Islam.

Da allora India e Pakistan sono impegnate in una feroce lotta nel territorio. Dopo quella del 1947, hanno combattuto altre due guerre, nel 1965 e 1971 (di quella di Kargil del 1999 abbiamo gia’ parlato), senza che siano state apportate grosse modifiche al confine “provvisorio”, che e’ stato chiamato Line of Control (LOC) e che e’ ancora sotto il controllo delle Nazioni Unite.

La Cina, per evidenti ragioni geo-politiche alleata di ferro del Pakistan, si e’ astutamente inserita nella lotta per il Kashmir. Nel 1962 ne ha conquistato delle porzioni dopo una breve guerra di confine con l’ India, in particolare il massiccio dell’ Aksai Chin, nel Ladakh orientale. L’ anno seguente Pakistan e Cina firmano un accordo sui confini nel quale viene concessa a Pechino la sovranita’ su una porzione del Kashmir “libero” secondo i pakistani e “occupato dal Pakistan” secondo gli indiani. Il confine, anche questo “provvisorio” tra i due paesi e’ stato chiamato Line of Actual Control (LAC).

Ormai la Cina ha un piede nel Kashmir, che considera di importanza strategica perche’ confina col Tibet e con il Xinjiang, due territori sui quali la sua “presa” e’ messa in discussione dalle popolazioni locali e dai loro sostenitori internazionali. Secondo Pechino, l’ Aksai Chin farebbe parte del Xinjiang. Le rivendicazioni cinesi sul territorio indiano non finiscono qui: dato che si considera la leggittima governante del Tibet, Pechino ritiene di avere diritto a strappare all’ India la provincia dell’ Arunachal Pradesh (in quanto in passato e’ stata parte del Tibet) Negli ultimi anni, la Cina ha cercato di “accerchiare” l’ India, stringendo stretti legami con paesi della regione tradizionalmente sotto l’ influenza indiana, come lo Sri Lanka e, con maggior successo, il Nepal. L’ India guidata dal nazionalista Narendra Modi fa parte dei paesi filo-americani della regione con altri tra cui Giappone, Vietnam, Corea del Sud, Australia, in una sorta di fronte anti-cinese che e’ destinato a rafforzarsi con l’ aggravarsi della “guerra dei dazi” lanciata dal presidente americano Donald Trump che si e’ ormai trasformata in una “guerra fredda” a tutto campo.

Il pericolo che maturi uno scontro militare tra Cina e India - economie forti, popolazioni di dimensioni straordinarie, entrambe in possessi di armi nucleari - esiste e non deve essere sottovalutato.
Beniamino Natale
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