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NASCE IL ‘QUAD’, PECHINO SI SPAVENTA
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Alla fine, la maggiore novita’ emersa dal tour de force del presidente americano Donald Trump in Asia (in 12 giorni ha visitato Giappone, Corea del Sud, Cina, Vietnam e Filippine) e’ stata la comparsa del cosidetto Quadrilater - o QUAD, come e’ stato prontamente accorciato dai media internazionali -, cioe’ un’ intesa dai contorni ancora poco definiti tra USA, Giappone, India e Australia.

Il QUAD e’ alle sue battute iniziali e, proprio per non spaventare Pechino - che invece si e’ spaventata lo stesso - la sua prima riunione, che si e’ svolta a Manila ai margini del vertice dell’ ASEAN, l’ associazione dei paesi del sudest asiatico, e’ stata a livello di “alti funzionari”. La prima riunione del QUAD - che come vedremo e’ un’ idea non nuova - ha coinciso con il lancio da parte dello stesso Trump del concetto di “Indo-Pacifico”. In poche parole l’ attuale amministrazione americana - nella quale militari ed ex-militari hanno ruoli di primo piano - ha esteso il concetto di “Asia-Pacifico” fino a comprendere l’ India, un’ aspirante potenza regionale che confina con la Cina e che, a differanza della Cina, e’ governata con un solido sistema democratico.

E’ tutto da vedere se il QUAD riuscira’ a coprire il vuoto dall’ incauto abbandono, da parte di Trump, della Trans Pacific Partnership o TTP, il progetto di mercato comune lanciato dal suo predecessore Barack Obama. Il TPP comprende ora undici paesi in tra continenti: Canada, Messico, Peru’ e Cile in America, Giappone, Singapore, Brunei, Malaysia e Vietnam in Asia, Australia e Nuova Zelanda in Oceania. Gli undici hanno deciso di andare avanti col progetto, probabilmente in attesa che il prossimo presidente americano annulli la decisione di Trump. In futuro, il QUAD potrebbe attrarre alcuni di questi paesi - uno dei quali, il Giappone di Shinzo Abe - e’ membro di entrambe le organizzazioni anche se ci sono degli ostacoli per un importante candidato come il Vietnam che, al contraio dei quattro del QUAD, non e’ democratico.

Nel corso del suo lungo viaggio, Trump ha parlato solo di sfuggita del problema del Mar Cinese Meridionale. Basandosi su carte geografiche di dubbia provenienza, la Cina rivendica quasi tutto lo specchio d’ acqua. Per sostenere questa rivendicazione, negli ultimi anni ha costruito isole artificiali per un totale che fonti americane affermano essere di oltre 12 milioni di metri quadrati.

Secondo il think-tank Asia Maritime Transparecy Initiative (AMTI), “ora Pechino puo’ schierare assetti militari, compresi aerei da combattimento e lancia-missili mobili in qualsiasi momento sulle isole Spratili”, uno degli arcipelaghi contesi. L’ AMTI ricorda che le Spratili sono a 500 miglia marittime dalle coste cinesi e che Pechino ha costruito installazioni che possono essere usate a scopi militari anche sulla scogliera di Fiery Cross, che si trova a 750 miglia dalla Cina - e a 170 dalle coste del Vietnam. La Corte Internazionale di Arbitrato dell’ Aja, interpellata dal governo delle Filippine guidato da Benigno Aquino III, ha affermato che le pretese cinesi “non hanno alcuna base”. Pechino ha ignorato la sentenza, cosi’ come. soprendentemente, ha fatto il successore di Aquino, il “punisher” Rodrigo Duterte.

Trump si e’ proposto come mediatore “…se posso fare qualcosa, interpellatemi” ha affermato in uno dei discorsi tenuti nel corso del viaggio, ma la sua proposta e’ stata accolta con scetticismo dagli stessi paesi coinvolti nelle dispute con Pechino. Tra questi anche Duterte che, pur ammettendo che Trump “e’ un negoziatore eccezionale”, ha sostenuto che la cosa migliore da fare per quanto riguarda il Mar della Cina Meridionale e’ non fare assolutamente niente. Peccato che intanto la Cina si muova, eccome. L’ amore di Duterte per Pechino deriva sia dal fatto che non ha mai criticato la sua “guerra alla droga” nel corso della quale sono stati uccisi in esecuzioni extragiudiziali circa settemila cittadini filippini e da una lettura affrettata e superficiale della situazione internazionale. Del resto, “Rodry” non e’ solo: il mondo e’ pieno di apologeti dell’ “imperatore” Xi Jinping e di profeti del tramonto dell’ egemonia americana che - se si guarda la realta’ dell’ economia, della politica, della forza militare e della cultura internazionali (Google, Facebook, Apple, Netflix, Wall Street ecc., c’ e’ qualche cinese in vista?) - appare piuttosto lontana.

Ma torniamo al QUAD. In un articolo pubblicato dalla rivista australiana The Interpreter, Andrew Shearer ha affermato che l’ idea e’ nata dopo lo tsunami del 26 dicembre 2004, che sconvolse molti paesi del sudest asiatico. In quell’ occasione, una missione congiunta delle flotte dei quattro paesi del QUAD riusci’ a portare vitali soccorsi alle vittime, in contrasto con l’ impotenza non solo dell’ ONU ma della stessa Cina. “L’ idea - prosegue Shearer - e’ poi stata ripresa da Shinzo Abe che nel 2007, durante il suo primo, sfortunato mandato da primo ministro propose un dialogo a quattro sulla sicurezza, con l’ allora vicepresidente americano Dick Cheney, il primo ministro indiano Manmohan Singh e quello australiano John Howard…”.

In seguito il governo australiano di Kevin Rudd - un “amico” della Cina - si ritiro’ dal progetto. Shearer propone che il QUAD sia guidato dai ministri degli esteri dei quattro paesi. Quanto alle sue competenze, aggiunge, “la cooperazione marittima e’ un ovvio punto di partenza. I quattro paesi dovrebbero sviluppare un robusto programma di iniziative per costruire intercambiabilita’, capacita’ e in ultima analisi deterrenza nella regione”.

Facile indovinare a chi dovrebbe essere rivolta la deterrenza. Il portavoce del ministero degli esteri cinese Geng Shuang ha commentato la riunione dei quattro affermando che “la cooperazione regionale non deve essere ne politicizzata ne esclusiva”. Gli hanno fatto eco alcuni specialisti cinesi come Zhang Mingliang dell’ Universita’ di Jinin e Du Jifeng dell’ Accademia delle Scienze di Pechino secondo i quali l’ organizzazione ha l’ obiettivo di “contenere” la crescita della potenza cinese. “Anche se non hanno nominato la Cina nel tentativo di non irritare ulteriormente Pechino, il fatto che siano preoccupati dalla crescita della Cina e che stiano lavorando da tempo. dietro le quinte, a questa iniziativa non e’ certo un segreto”, ha sostenuto Du in un’ intervista al South China Morning Post.

Poco o niente ha detto il vertice di Pechino tra Xi Jinping e Donald Trump. Dopo essersi scambiati complimenti a vicenda i due presidenti hanno esposto a Danang, in Vietnam, nel corso vertice dell’ APEC - l’ associazione dei paesi dell’ Asia-Pacifico - le loro divergenti visioni del mondo, entrambe poco credibili. Trump, il cui paese domina tutte le organizzazioni internazionali a partire dall’ ONU, ha esaltato gli accordi bilaterali. Il presidente vede i rapporti internazionali come “deal” - affari - ignaro del fatto che istituzioni come la World Trade Organization (WTO) e la North America Free Trade Agreement (NAFTA) non fissano i termini dei “deals”, ma stabiliscono le regole che dovrebbero essere seguite da tutti. Da parte sua Xi Jinping, leader di un paese sempre piu’ chiuso allle imprese straniere, e sempre piu’ malato di un nazionalismo revanscista, propaganda se stesso e la Cina come gli alfieri della globalizzazione e del libero commercio.

Il “nuovo Mao” farebbe forse bene a preoccuparsi della crescente diffidenza con cui il governo e il pubblico americano (e non solo) vedono la Cina. Ha scritto Orville Schell - un autorevole sinologo che ha seguito di persona il viaggio di Trump - “Negli ultimi decenni c’ e’ stata l’ insistente idea che se gli USA fossero rimasti accanto alla Cina, l’ avessero abbracciata, le avessero permesso di entrare nel WTO…la Cina sarebbe gradualmente diventata piu’ aperta, piu’ simile a noi, piu’ congeniale, meno distruttiva verso l’ ordine mondiale…in molti sensi, questo non e’ avvenuto e credo che quest’ idea non abbia molto corso presso l’ attuale amministrazione. Allo stesso tempo, sta cambiano l’ atteggiamento dell’ opinione pubblica; l’ idea che gli USA e la Cina stessero gradualmete convergendo, piuttosto che allontanarsi, non e’ piu’ credibile. I cinesi sono stati sempre piu’ assertivi, aggressivi e anche provocatori e io credo che ora debbano fare i conti con una reazione…”.
Beniamino Natale
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