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OBOR INDIA
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E' stata il classico convitato di pietra al trionfale vertice organizzato da Pechino per lanciare (e celebrare) l'Obor: One Belt-One Road, progetto di connettività globale che nella retorica cinese dovrebbe portare sviluppo, pace prosperità e fratellanza all'universo mondo. Tutti alla fine, inclusi gli Stati Uniti di Trump, hanno spedito delegazioni di profilo più o meno alto al vertice pur avendo minacciato di disertarlo fino al giorno prima. Tutti tranne Narendra Modi, che non ha inviato alcuna delegazione ufficiale: nemmeno i bassi ranghi della locale Ambasciata indiana di cui si vociferava alla vigilia. Morale della favola, si è molto parlato dell'India durante il vertice, ufficialmente e non, forse molto più che se New Delhi avesse inviato i propri inviati. Pechino non l'ha presa proprio benissimo, nonostante gli annunci di apertura e i formali inviti rivolti all'India di unirsi a questo miracolo economico, sociale e geopolitico con cui la Cina decide di fare un regalo al resto del mondo: una decina di giorni dopo, difatti, ha reiterato il suo veto all'entrata dell'India nel NSG. Un mesetto prima, tanto per distendere l'atmosfera, aveva rinominato una serie di aree della regione indiana dell'Arunachal Pradesh che per Pechino è il South Tibet. Dimenticando che il 'North Tibet' è stato occupato con la forza e che storicamente non è mai stato parte della Cina. Una delle ragioni che spingono l'India a non partecipare, e anzi a osteggiare fieramente l'Obor, sono i 'doppi standard' cinesi quando si tratta di sovranità territoriale: Pechino difatti minaccia ferro e fuoco ogni volta che l'India cerca di portare avanti progetti finanziati da capitali stranieri nell'Arunachal Pradesh, perchè si tratta di un 'territorio disputato'. Narendra Modi e il suo governo, di conseguenza, hanno più volte dichiarato che non accetteranno mai un progetto “che mina alla base la sovranità territoriale dei paesi che lo ospitano”. Riferendosi alla sezione già operante e molto discussa dell'Obor, il cosiddetto Cpec, il China-Pakistan Economic Corridor, che passa per regioni disputate, come il Gilgit-Baltisan e il Kashmir pakistano. Le riserve avanzate da Modi e dai suoi sono molteplici e di diversa natura, e la violazione della sovranità territoriale è soltanto la più appariscente. Alcuni analisti, indiani e non solo, si sono spinti fino a definire l'Obor la 'nuova East India Company' muovendo a Pechino accuse di neocolonialismo aggressivo e invasivo. In realtà, se si deve giudicare dal Cpec, la situazione è questa: a costruire i vari progetti sono stati importati lavoratori cinesi e i locali non hanno beneficiato quasi per nulla della creazione di nuovi posti di lavoro. Non solo: sono state inviate truppe cinesi a proteggere i lavoratori suddetti (da terroristi assortiti ma anche dalla rabbia dei locali a cui sono state espropriate terre senza alcun compenso) e, neanche a dirlo, tutto è stato finanziato da banche e capitali cinesi con cui il Pakistan si trova indebitato fino agli occhi e senza alcuna speranza di restituire il malloppo a Pechino per i prossimi duecento anni. E un recente rapporto delle nazioni Unite, preparato per colmo di ironia su richiesta cinese, evidenzia il fatto che il Cpec può essere fonte di instabilità politica sia tra Pakistan e India che per quanto riguarda l'Afghanistan. Visto che Islamabad, volente o nolente, si è trasformata di fatto in una colonia cinese e la cosa per ovvie ragioni non può far piacere a New Delhi. Non fa piacere nemmeno al Giappone o agli Stati Uniti, però. La politica aggressiva della Cina nel South Cina Sea non è vista di buon occhio né da Tokyo né tantomeno da Washington, che nei giorni scorsi ha inviato navi militari in loco. Non solo: con una delle molteplici giravolte a cui ci stiamo abituando, l'amministrazione Trump ha ripescato un progetto annunciato da Hillary Clinton a Mumbai nel 2011 e poi caduto nel dimenticatoio: la cosiddetta 'Nuova Via della Seta', e l'Indo-Pacific Economic Corridor che dovrebbe connettere l'Asia del Sud e dell'Est. Il progetto era stato bloccato durante l'amministrazione Obama, ma a quanto pare (almeno per il momento) Donald Trump e i suoi ritengono che la geo-economia e la diplomazia economica siano alternative di gran lunga superiori ai giochi geo-strategici giocati fino a questo momento da tutti. La Nuova Via della Seta targata Usa dovrebbe essere centrata sull'Afghanistan e sulla connettività tra Kabul e i paesi vicini e da qui con il resto del mondo. Secondo le pie illusioni di Washington, il progetto dovrebbe partire e sarebbe stato pensato nell'ottica della 'transizione in atto' in Afghanistan visto che gli Usa 'lottano per aiutare il popolo afghano a reggersi in piedi da solo'. Che del popolo afghano fanno parte anche Taliban e jihadi assortiti, nonchè le intelligence di una manciata di paesi che li usano per i loro comodi, non si fa menzione. In ogni caso New Delhi, che in Afghanistan è da tempo impegnata nel sotruire infrastrutture e che non ha alcuna intenzione di lasciare al Pakistan la famosa 'profondità strategica', gioisce e si dichiara pronta a impegnarsi nel progetto. Mentre, assieme al Giappone, lancia l'idea di un Asia-Africa Growth Corridor, un piano di connettività marittima sponsorizzato dai due paesi che dovrebbe tracciare rotte alternative all'Obor e a condizioni molto migliori di quelle proposte dai cinesi. “Crediamo fermamente che tutte le iniziative di connettività debbano essere basate su principi universalmente riconosciuti di buon governo, rispetto della legge, trasparenza, uguaglianza e apertura” ha dichiarato New Delhi “E che ogni singolo progetto debba essere programmato in modo da rispettare la sovranità e l'integrità territoriale dei singoli Stati”. D'altra parte, gli indiani e il Giappone non sono i soli a invocare maggiore trasparenza e il rispetto delle regole: soprattutto delle regole internazionalmente accettate in materia di ambiente e sicurezza dei lavoratori. L'Unione Europea si è difatti rifiutata di avallare un a parte molto consistente dell'Obor perchè non include alcun impegno, nemmeno un riferimento teorico, alla trasparenza e al rispetto della sostenibilità ambientale e sociale. Alle accuse Beijing risponde respingendo sdegnata le accuse di neocolonialismo, sostenendo che la Cina semmai del colonialismo è stata vittima e non protagonista e accusando i critici di voler continuare a giocare a vecchi giochi geopolitici e di potere. Però, secondo molti analisti, i cinesi stanno vendendo fumo e cercando di passare per ingenui sognatori: la realtà è che, guarda caso, molti dei tratti dell'Obor passano per aree geopoliticamente strategiche e costituirebbero, se costruite, formidabili assetti politico-militari per Beijing. La realtà è che l'economia cinese ha disperato bisogno di nuovi sbocchi, che la Cina cerca di cogliere l'occasione, vista la crisi endemica dell'Occidente di affermarsi come nuova potenza globale e che i segni di questo nuovo corso politico sono già evidenti da un pezzo.
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