Stringer Asia Logo
Share on Google+
news of the day
in depth
Si alza il costo della presenza cinese in Pakistan
  • CininPak.jpg
    CininPak.jpg
Con l’ assassinio di due giovani insegnanti di lingue cinesi in Pakistan, l’ organizzazione di estremisti musulmani sunniti conosciuta come ISIS (Islamic State in Iraq e Siria) - o semplicemente come Stato Islamico - ha colpito direttamente la superpotenza asiatica alleata dell’ establishment pakistano. Pechino ha reagito confermando la sua alleanza “di ferro” col vicino e chiedendo l’ istituzione di uno speciale corpo di polizia responsabile della sicurezza dei sempre più numerosi cinesi che vanno a lavorare in Pakistan. Inoltre, almeno secondo l’ emittente televisiva New Delhi TV o NDTV, nei giorni seguenti il presidente cinese Xi Jinping ha dato uno schiaffo morale al premier pakistano Nawaz Sharif, evitando di incontrarlo separatemente nel corso del vertice della Shanghai Cooperation Organization (SCO), che si e’ tenuto ad Astana nel Kazakhstan.
I due giovani, Li Xinheng e Lu Ling Lina, un uomo e una donna, erano stati rapiti il 24 maggio a Quetta, capitale della provincia del Baluchistan, da un gruppo di uomini armati vestiti da poliziotti. L’ annuncio della loro morte e’ stato dato dall’ agenzia d’ informazione AMAQ, dello Stato Islamico, ricevuta in Egitto. In seguito l’ assassino dei due giovani cinesi e’ stato confermato sia dalla Cina che dal Pakistan.
Data la sempre maggiore presenza di cinesi nel paese e dati gli stretti legami tra Cina e Pakistan, non sorprende che negli ultimi anni si siano moltiplicati i giovani pakistani che ritengono utile imparare il cinese. L’ insegnamento della lingua fa parte della politica estera cinese e tutti gli insegnati di mandarino devono avere nel loro curriculum qualche anno di insegnamento all’ estero. In un recente articolo il quotidiano Global Times, portavoce dell’ ala più ferocemente nazionalista del Partito Comunista Cinese, ha sostenuto che i due giovani uccisi dall’ ISIS erano cristiani e che avrebbero provato a fare proseliti “in una società islamica come il Pakistan” su istigazione dei loro “istruttori sudcoreani”. Il giornale non chiarisce la fonte delle sue informazioni e il ruolo che avrebbero avuto nella vicenda i coreani.
Lo Stato Islamico, un’ organizzazione sanguinaria nata e cresciuta in Medio Oriente e formata, secondo i servizi d’ informazione occidentali, soprattutto da ex-militari iracheni, non ha una forte presenza in Pakistan e nel vicino Afghanistan. L’ area che comprende anche le FATA (Federal Administred Tribal Areas) sono una terra senza legge, dove si muovono a loro piacimento gli aagenti dei servizi segreti pakistani e i loro alleati, in primo luogo i Taliban, che sono sia afghani che pakistani. Il grosso e’ formato da tribali di etnia pashtu, che sono originari della regione e che possono usufruire della lealta’ “naturale”, per cosi’ dire, di buona parte della popolazione locale. A partire dagli anni ottanta, quando con il sostegno di mezzo mondo - tra cui la Cina, allora guidata dal “piccolo timoniere” Deng Xiaoping - i guerriglieri pashtu (e in misura minore delle altre etnie afghane) condussero con successo la loro guerra santa contro gli invasori russo-sovietici, in queste aree risiedono i combattenti dell’ Internazionale Islamica, provenienti da tutto il mondo musulmano. Più tardi, con il ritorno in Afghanistan di Osama bin Laden e l’ arrivo di Ayman Al Zawahiri, i “foreign fighters” presenti nell’ AfgPak si sono moltiplicati. Pero’ la loro lealtà e’ diretta in primo luogo ai loro leader come lo stesso Al Zawahiri e ai loro “ospiti” pashtu come la famiglia Haqqani, oltreché ai loro protettori e finanziatori pakistani. Il presidente americano Donald Trump ha sostenuto che “la madre di tutte le bombe” sganciata dagli USA sull’ Afghanistan meridionale lo scorso aprile aveva come obiettivo i combattenti locali dell’ ISIS, che sarebbero stati decimanti (80-100 vittime) dalla mostruosa bomba. Possibile, ma certamente non e’ l’ ISIS la minaccia principale per il governo di Kabul e per i suoi alleati, tra cui si annoverano sia gli USA che la Cina.
Per Pechino, si tratta di un campanello di allarme che puo’ ignorare solo a suo rischio e pericoli. Secondo stime generalmente accettate, in Pakistan lavorano oggi più di ottomila cinesi, che dovrebbero essere raggiunti da altri settemila man mano che si concretizzano i progetti che fanno parte del China Pakistan Economic Corridor (CPEC), nel quale Pechino ha promesso di investire 57 miliardi di dollari. Nel solo porto di Gwadar, sulla costa del Baluchistan si prevede la presenza, quando lavorerà a pieno regime, di circa ventimila cinesi. Inoltre, secondo un recente rapporto del Dipartimento di Stato americano, la presenza militare della Cina in Asia e più in generale all’ estero di rafforzera’ di pari passo con lo sviluppo del CPEC. Secondo il rapporto, Pechino “cercherà di creare nuove basi militari nei paesi coi quali ha da lungo tempo relazioni economiche e interessi strategici coincidenti, come il Pakistan”.
Il grosso della torta cinese andrà - c’ e’ poco da sbagliarsi - alla provincia del Punjab, quella dominante, ma consistenti fette sono previste nel Baluchistan e nel Kyber-Pakhtunkwa. Di quest’ ultima abbiamo detto: e’ la terra dei Taliban e dei servizi segreti militari pakistani, impegnati in una guerra senza quartiere- come dimostrano i sempre più frequenti attentati nella capitale Kabul - contro il governo filo-occidentale afghano. Nel vicino Baluchistan e’ in corso da decenni una rivolta che ha provocato la morte o la “scomparsa” di migliaia di persone (14mila secondo dati dell’ ONU). Gwadar e’ un progetto controverso e particolarmente inviso ai nazionalisti Baluchi, che ci vedono una dimostrazione concreta di come gli stranieri - prima gli inglesi, poi i pakistani e ora cinesi - intendano depredare la regione delle sue notevoli ricchezze naturali senza condividerne i vantaggi con la popolazione locale. Nell’ immaginario dei suoi ideatori, Gwadar dovrebbe diventare la “nuova Shenzhen”, cioè il villaggio di pescatori a ridosso di Hong Kong trasformatosi in pochi anni nel centro della produzione manifatturiera mondiale grazie alla “riforma&apertura” di Deng Xiaoping.
Più probabile che segni l’ aggravamento di un problema che già esiste in Cina e che ha dimensioni non trascurabili: quello dei nove-dieci milioni di musulmani di etnia uighura che vivono nell’ enorme regione del Xinjiang, ricca di materie prima e di confini strategici con numerosi paesi dell’ Asia centrale e meridionale tra cui l’ Afghanistan e il Pakistan. Il Xinjiang e’ in stato d’ assedio dal 2009, quando quasi 200 persone morirono in scontri tra immigrati cinesi e uighuri nella capitale provinciale, Urumqi. In occasione del Ramadan del 2017 (24 maggio - 26 giugno), Pechino ha deciso nuove misure che, nei suoi progetti, dovrebbero servire a contenere l’ influenza degli estremisti musulmani e che rischiano di ottenere il risultato opposto. Numerose organizzazioni umanitarie hanno infatti denunciato la nuova “trovata” cinese: per tutto il mese, nel quale i musulmani digiunano dall’ alba al tramonto, le autorità locali invieranno dei funzionari nelle case degli uighuri, a parole per “festeggiare” insieme la ricorrenza, in realtà per controllare che il digiuno non venga osservato. Si tratta dell’ ultima di una serie di misure - la proibizione delle barbe e del velo, che fanno parte della tradizione locale in alcune aree del Xinjiang - volte a negare l’ identità, uighura e islamica, della popolazione locale, un’ identità distinta da quella cinese-han. Dato che la politica dell’ ISIS e’ quella di rivendicare come propri tutti gli attentati, di qualsiasi tipo e portata, vengano compiuti in qualsiasi parte del mondo da “lupi solitari” musulmani, e’ facile prevedere che presto qualcuno di loro colpirà in territorio cinese.
Beniamino Natale
@COOKIE1@
@COOKIE2@