Stringer Asia Logo
Share on Google+
news of the day
in depth
Il Pakistan e la blasfemia
  • Pakistan e la blasfemia
    Pakistan e la blasfemia
Ricapitolando in ordine sparso: in ottobre, Samuel Paty, insegnante di liceo, viene decapitato. Poi, un attacco terroristico a Vienna che ha causato quattro morti e un gran numero di feriti. Una donna decapitata e altre due persone accoltellate a Nizza; una guardia del consolato francese a Gedda accoltellata, una pattuglia di polizia assalita ad Avignone. Ancora prima, alla fine di settembre, due giornalisti sono stati accoltellati a Parigi, davanti all'ex-sede del giornale satirico Charlie Hebdo. E la lista, molto probabilmente, è destinata ad allungarsi ancora. E' destinata ad allungarsi perchè gli ideologi e i mandanti di questa nuova ondata di terrore non accennano a fermarsi. Anzi. Mentre difatti il premier pakistano Imran Khan continua a tenere discorsi incendiari sulla 'islamofobia travestita da libertà di espressione' trovando incredibilmente sponda in una serie di pubblicazioni anglosassoni, come il New York Times, che titolano (con una buona dose di malafede) “Macron vuole riformare l'Islam”, in Pakistan succede praticamente di tutto. Succede che sui social media circoli un video di un bambino di otte-nove anni armato di kalashnikov che giura di ammazzare il presidente francese e, citando letteralmente, di “giocare a pallone con la sua testa”. Succede che alle brave, devote, ragazze della Jamia Hafsa, la sezione femminile della famigerata Lal Masjid di Islamabad, culla di jihadi e terroristi vari, un'insegnante (donna) mostri in diretta come si decapita, con un colpo secco di scimitarra, un fantoccio con la faccia del suddetto Macron. Succede che, dagli inizi di settembre, praticamente ogni settimana si tengono 'pacifiche' dimostrazioni anti-francesi, a base di bandiere bruciate e 'pacifici' cartelli che invocano alla decapitazione dei francesi e, per fare buon peso, degli infedeli tutti. Le dimostrazioni sono capeggiate da un signore chiamato Khadim Hussein Rizvi, presidente del partito integralista del Tehreek-i-Labaik Pakistan: da mesi Rizvi invoca, nelle piazze e via social media, la jihad contro la Francia e anche l'uso della bomba atomica contro l'Occidente. Rizvi e i suoi, non contenti di aver applaudito alla decapitazione “per blasfemia”, venti giorni fa, del direttore di una banca di Karachi, sono scesi in piazza ancora una volta e, questa volta, in modo più incisivo. Hanno bloccato, per un intero weekend, le vie di accesso alla capitale Islamabad. Per due giorni sono state bloccate le linee telefoniche, e la capitale è stata di fatto assediata. Ci sono stati scontri con la polizia, che ha arrestato un certo numero di dimostranti. Solo per poco, però. L'assedio è stato tolto difatti quando è stato firmato un accordo tra Rizvi e il governo: Imran Khan, che ancora una volta non smentisce il nomignolo di 'Taliban Khan' affibiatogli da una nutrita schiera di cittadini pakistani, per mano dei suoi ministri si è impegnato a espellere dal Pakistan l'ambasciatore francesce Marc Barety entro due mesi, a non inviare un nuovo ambasciatore pakistano in Francia (il posto è al momento vacante), a boicottare sistematicamente tutti i prodotti francesi (tranne gli aiuti umanitari che riempiono le casse di Islamabad, ovviamente) e a rilasciare tutti i criminali seguaci di Rizvi arrestati dalla polizia. Equiparando di fatto, e non per la prima volta, il governo legittimo a una banda di fanatici tagliagole. D'altra parte, tra Imran Khan, l'esercito e Rizvi esiste una lunga consuetudine. Nel 2017 Rizvi e i suoi avevano tenuto in ostaggio il paese per tre settimane, bloccando strade e piazze con container messi di traverso, per difendere 'l'onore del Profeta' oltraggiato da un lieve cambiamento nella formula del giuramento dei giudici e chiedere le dimissioni dell'allora ministro della Giustizia. Il Tlp è stato strumentale nel dare una spallata al governo dell'ex-premier Nawaz Sharif e nell'elezione, assieme ad altri partiti di stampo jihadi-integralista, dell'attuale premier. Inutile sottolineare che ormai nessun paese islamico, a parte la Turchia di Erdogan, sostiene apertamente il Pakistan nel suo delirio integralista. E che il governo di Islamabad ha ormai varcato i limiti, e di molto. Inutile sottolineare che giustificare moralmente la decapitazione di cittadini occidentali innocenti, scelti a caso tra la folla di una città qualunque, è più che pericoloso: è criminale. Che è criminale permettere che si svolgano dimostrazioni come quelle sopra descritte, dimostrazioni che chiedono la morte di cittadini di un paese amico e di tutti gli occidentali. Che se le stesse scene si svolgessero in qualunque paese europeo nei confronti del premier pakistano, i suoi cittadini sarebbero immediatamente accusati di islamofobia e razzismo. La cosa vale, evidentemente, soltanto in un senso. E non vale nemmeno cavarsela con una scrollata di spalle pensando che il Pakistan conta ormai poco. Non è vero. Ciò che succede a Islamabad e dintorni ci riguarda purtroppo anche troppo da vicino. Perchè da questa parte del mondo arrivano via social media, oltre agli sproloqui di Imran Khan e ai video di Rizvi, anche altre cose. A parte jihadi travestiti da vittime della jihad, arrivano anche video contraffatti di presunti occidentali che picchiano donne in hijab. Presunti, perchè i picchiatori sono sempre di spalle, e le scene si svolgono sempre in ristoranti o negozi in cui non ci sono altri clienti e in cui non si vede nemmeno una scritta che riveli il luogo in cui sono girati. Ci riguarda perchè in Italia, sempre sui social media, una nutrita schiera di cittadini di origine pakistana ha canbiato le foto sui profili Twitter e Facebook con scritte del tipo: “I love my Prophet – Boycott France” e i video di cui sopra circolano con relative incitazioni all'odio verso gli occidentali in generale e i francesi in particolare. L'Unione Europea, assieme alle misure anti-terrorismo recentemente decise, dovrebbe anche e soprattutto prendere provvedimenti contro chi crea, nutre e fa prosperare i terroristi in questione. Prima che sia troppo tardi.
Francesca Marino
@COOKIE1@
@COOKIE2@