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Balochistan: un popolo di fantasmi
  • Amnesty Balochistan
    Amnesty Balochistan
Era il 27 marzo, quando i volontari della Fondazione Edhi si sono ritrovati per l'ennesima volta, a Quetta, a seppellire dodici corpi ritrovati nelle strade e nei campi del Balochistan: dodici corpi decomposti e mutilati in modo da essere irriconoscibili, seppelliti senza nome e senza che le autorità effettuassero un test del DNA per tentare almeno di scoprire a chi appartenevano quei poveri resti. Gli ennesimi, secondo i volontari, a essere sepolti in fretta e senza nome in una tomba comune. La cosiddetta politica del 'kill and dump', uccidere e abbandonare nelle strade è difatti ormai da anni una pratica consolidata in Balochistan. Uomini, donne, vecchi e bambini vengono prelevati dall'intelligence e dai corpi paramilitari e scompaiono. Pochi ritornano recando segni di tortura, altri vengono ritrovati cadavere ai bordi delle strade. La maggior parte, scompare. Le prime tombe di massa sono state ritrovate nel 2014 a Turbat, e da allora ogni anno se ne ritrova una: l'ultima a Dera Bugti. Ma il copione è sempre lo stesso: l'esercito circonda l'area impendendo alla popolazione di avvicinarsi e ricopre in tutta fretta le tombe. Nessuno conosce il numero esatto di quelli seppelliti in tombe senza nome, così come nessuno conosce il numero esatto di coloro che si sono volatilizzati senza lasciare traccia. Secondo le organizzazioni umanitarie si tratta di migliaia e migliaia, secondo il governo, che a un certo punto non è più riuscito a negare il fenomeno ed è stato costretto dalla comunità internazionale a formare una Commissione ad hoc, si tratta di qualche centinaio. Ma il fenomeno non è ormai limitato, come in passato, al solo Balochistan. Secondo un rapporto pubblicato giorni fa da Amnesty International, difatti: "I gruppi e gli individui presi di mira dalla pratica delle sparizioni forzate in Pakistan includono persone provenienti dal Sindh, dal Balochistan, individui di etnia Pashtun, membri della comunità sciita, attivisti politici, difensori dei diritti umani, membri e sostenitori di gruppi religiosi e nazionalisti, sospetti membri di gruppi armati e religiosi banditi dal governo e organizzazioni politiche. In alcuni casi, le persone sono apertamente prese in custodia dalla polizia o dai servizi segreti e alle famiglie che cercano di scoprire dove sono imprigionate viene negata dalle autorità ogni genere di informazione. Alcune vittime vengono in alcuni casi rilasciate o alle famiglie vengono fornite informazioni sulla prigione in cui si trovano, ma le vittime continuano a essere in stato di detenzione arbitraria o addirittura intenrate in campi di prigionia. Gli 'scomparsi' sono a rischio di morte e di tortura”. E, aggiunge la Defense of Human Rights: “Ci sono circa cinquemila casi irrisolti di sparizioni forzate in Pakistan. La maggior parte di questi è stata registrata nelle Federally Administered Tribal Areas (FATA), nelle Provincially Administered Tribal Areas (PATA), nel Khyber Pakhtunkhwa (KP), in Balochistan e nel Sindh. Amnesty chiede formalmente al Pakistan di “Intraprendere immediatamente ogni azione per porre fine immediatamente alla pratica delle sparizioni forzate”, ma la richiesta, come molte altre, è destinata a rimanere lettera morta. Secondo la International Commission of Jurists, difatti, la Commissione formata dal governo pakistano per indagare sulle sparizioni forzate non ha compiuto alcun progresso, anzi: “La pratica è diventata ormai un fenomeno di portata nazionale”: un modo per il governo pakistano per eliminare attivisti, giornalisti, liberi pensatori e oppositori politici in tutto il paese. D'altra parte, a far parte della Commissione sulle sparizioni forzate sono chiamati quegli stessi che delle sparizioni forzate sono colpevoli; membri dell'intelligence e dell'esercito. In Balochistan, secondo la Voice of Baloch Missing People, sarebbero circa diciottomila le persone scomparse negli ultimi anni. Mentre, secondo il Pashtun Tahafuz Movement (il movimento per la liberazione dei Pashtun) gli scomparsi in KP sarebbero più di ottomila e le sparizioni sono all'ordine del giorno. Gli attivisti del PTM, che si riversano in piazza a migliaia per protestare pacificamente, vengono prelevati dalla polizia e scompaiono. Nessuno sa dove si trovano, non c'è nessuna accusa formale a loro carico. E, sempre secondo il rapporto di Amnesty: “Se e quando gli scomparsi vengono rilasciati, vengono minacciati di ritorsioni se parleranno con i media o se inoltreranno una denuncia...Chiedere giustizia non è un opzione, né per le vittime né per le loro famiglie....Le famiglie degli scomparsi sono spesso minacciate, intimidite e abusate, specialmente le donne e coloro che hanno reso pubblica la loro protesta”. Questo è il Naya Pakistan, il 'nuovo' Pakistan di Imran Khan: che, è interessante notare, da candidato tuonava contro le sparizioni forzate e aveva promesso di sanare la situazione. Nei mesi del suo governo, la situazione è semmai peggiorata. Prigioniero di fatto dei generali di cui Imran è soltanto un portavoce, il premier fa finta di non vedere e non sentire. Mentre il Pakistan diventa sempre più una terra di fantasmi né morti né vivi, che esistono soltanto nel ricordo dei loro cari e nelle liste degli scomparsi. Una terra dove non esistono più il diritto né la legge, e dove tre quarti delle provincie sono costrette a subire un giogo molto più pesante di quello di ogni dittatura passata. E il fantasma più pauroso, quello che si aggira dentro ai sogni di tutti è diventato difatti quello della democrazia.
Francesca Marino
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