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Doklam
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“Da settimane ormai la Cina minaccia l'India di terribili conseguenze per ciò che definisce 'l'intrusione nel plateau di Doklam'. E sono in parecchi in India a essere sinceramente preoccupati dall'aggressività cinese, parte di un disegno intimidatorio che va avanti da molti anni. Un disegno che ha portato, tra le altre cose, i giapponesi ad allertare i propri militari più spesso che durante la Guerra Fredda e a spedire il Vietnam dritto fra le braccia degli ex arcinemici americani”

Praveen Swami, rispettato analista militare indiano, commenta così l'empasse diplomatica tra India, Cina e Bhutan che da quasi due mesi mantiene con il fiato sospeso tutta la regione. I fatti, anzitutto. Il 16 giugno scorso la Cina ha cominciato a costruire una strada nell'area himalayana di Doklam, in una striscia di territorio che confina con l'India e che è oggetto di una annosa disputa territoriale tra la Cina e il Bhutan. Due giorni dopo, su richiesta del Bhutan che considera proprio quel territorio, i soldati indiani sono intervenuti per fermare la costruzione della strada. Da allora, circa trecento soldati indiani e cinesi si fronteggiano a Doklam giocando a tirarsi sassi e facendo sfoggio di metaforici muscoli. Secondo la Cina, l'India ha violato un confine internazionale e ha occupato un pezzo di territorio cinese. Secondo New Delhi, le truppe indiane si trovano in territorio bhutanese e Thimpu ha espressamente richiesto l'aiuto indiano per fermare i cinesi che cercavano di costruire una strada occupando quel pezzo di terra. In realtà il triplice confine tra India, Cina e Bhutan in quella particolare zona è oggetto di disputa da lungo tempo e la questione non è mai stata risolta. Esiste però un trattato 'privato' del 2012 tra Cina e India secondo il quale Beijing si sarebbe impegnata a non effettuare azione alcuna in quella zona senza prima discutere la faccenda con New Delhi visto che spostare il confine a sud di Doklam renderebbe vulnerabile il cosiddetto Siliguri Corridor che connette il resto dell'India ai travagliati stati del Nordest indiano. Il confronto tra le due superpotenze nucleari, il più lungo e il più aspro dalla guerra combattuta nel 1962, non accenna a scemare: i cinesi vogliono che l'India ritiri immediatamente le sue truppe, New Delhi chiede invece un ritiro simultaneo prima di sedersi a un eventuale tavolo delle trattative. Intanto, Beijing minaccia di terribili ritorsioni e i generali indiani lucidano armi e divise. A complicare il tutto, la Cina accusa gli Stati Uniti di voler provocare una guerra indocinese visto il supporto più o meno aperto della Casa Bianca alle posizioni indiane. In realtà, come sostiene ancora Praveen Swami, “la faccenda di Doklam non riguarda soltanto una strada”. E' soltanto l'ultimo episodio di una guerra più o meno fredda tra New Delhi e Beijing in atto da almeno due anni. Ci sono state altre scaramucce territoriali, una nel 2013 e l'altra nel 2014. Qualche mese fa, , tanto per distendere l'atmosfera, la Cina aveva rinominato una serie di aree della regione indiana dell'Arunachal Pradesh che per Pechino è il South Tibet. Dimenticando che il 'North Tibet' è stato occupato con la forza e che storicamente non è mai stato parte della Cina. Al G-20 Narendra Modi e Xi Jimping non si sono degnati di uno sguardo. Ma soprattutto, la Cina supporta ormai apertamente il Pakistan, legato economicamente mani e piedi a Beijing: il CPEC, il China-Pakistan Economic Corridor che attraversa territori disputati, è stato vissuto da New Delhi come un vero e proprio attentato alla sovranità territoriale e l'Obor, la cosiddetta 'Nuova Via della Seta' viene considerato dall'India soltanto un mezzo per occupare anche militarmente i territori coinvolti. Altra materia del contendere tra i due avversari, la politica aggressiva della Cina nel South Cina Sea: che non è vista di buon occhio non soltanto da New Delhi ma viene osteggiata sia da Tokyo che da Washington. Il tentativo di avere controllo e accesso privilegiato all'Oceano Indiano, al Pacifico o al mare Arabico pone non pochi problemi di ordine politico e geopolitico alle parti coinvolte e rischia di stravolgere alleanze e giochi di potere. La posta in gioco è alta, molto più alta di un semplice pezzetto di terra sperduto tra le montagne o dell'importanza strategica dell'alleanza con il piccolo Bhutan, che con la Cina non ha rapporti diplomatici, che si appoggia a New Delhi in tutto e per tutto e che in tutto ciò rischia di continuo di fare la classica fine del vaso di coccio. Tanto alta che l'idea di un conflitto armato spaventa tutti ma non viene davvero esclusa da nessuno nonostante le conseguenze potenzialmente devastanti. In ballo c'è la famosa leadership globale, che i cinesi intendono strappare agli americani, e c'è il controllo delle aree strategiche una vasta porzione di mondo. In ballo c'è il controllo delle principali vie del commercio mondiale. Dalle rotte asiatiche dipenderà gran parte della geopolitica del futuro e del controllo delle strategie globali.
Francesca Marino
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