Stringer Asia Logo
Share on Google+
news of the day
in depth
AFGHANISTAN: di Bagram e altre storie
  • Bagram Airfield in Afghanistan
    Bagram Airfield in Afghanistan
"Un piccolo contingente di truppe straniere ha occupato alcune delle sezioni interne della base aerea di Bagram. Non voglio avanzare ipotesi su chi sono e perchè si trovino là, tanto verrà fuori abbastanza presto. Voglio soltanto segnalare, come confermano più fonti, che addestrano le milizie degli Haqqani”. Così twittava, lo scorso 22 aprile l'ex-vicepresidente afghano Amirullah Saleh, dando ufficialmente voce a sussurri che si rincorrevano da un po' di giorni, sussurri confermati in seguito da una serie di rapporti che circolavano in rete e che fornivano prove di quanto si diceva già da qualche mese. In ottobre difatti, secondo fonti afghane, a Bagram sarebbero atterrati un certo numero di aerei militari cinesi. Assieme a elementi appartenenti al Gruppo delle guardie rivoluzionarie islamiche (IRGC) e ai soliti e immancabili membri dell'ISI pakistana. Le voci, prontamente smentite all'epoca sia dai Taliban che dai cinesi, sono tuttavia continuate fino a trovare conferma decisiva negli ultimi mesi: come afferma Saleh, i cinesi si trovano là per addestrare gli uomini della rete Haqqani. Notizia suffragata anche da Abdul Basir Salangi, ex governatore provinciale di Parwan ora in Turchia, che aggiunge: “Non so se ci sono davvero militari cinesi a Bagram, ma so per certo che i cinesi addestrano le milizie della rete Haqqani a Miranshah, Peshawar e Quetta". In Pakistan, cioè, al confine con l'Afghanistan. Addestrano quella stessa rete Haqqani, tanto per capirci, che da decenni insanguina l'Afghanistan con attentati particolarmente efferati e che ha come partner storici Al Qaida e l'Isis-K, ramo Khorasan dell'Isis. Lo stesso Isis-K, anch'esso come la rete Haqqani sotto il controllo dell'ISI pakistana, che avrebbe al momento il compito di creare una cortina fumogena per il governo dei Taliban compiendo attentati e assumendosene la responsabilità, in modo da creare, agli occhi dell'occidente, l'ennesima dicotomia: Taliban buoni, Isis-K cattiva. E di ripulire, almeno agli occhi della maggioranza, l'immagine dell'ineffabile ministro dell'Interno dei Taliban Sirajuddin Haqqani. Sirajuddin, che con Al Qaida vanta anche legami di famiglia, è stato ormai sdoganato da media occidentali e non, New York Times e CNN in testa, e provvede a creare la sua personale cortina di fumo parlando e sproloquiando su ogni piattaforma disponibile di diritti e abusi di diritti delle donne e delle minoranze. Così, mentre il resto del mondo è occupato a discutere di diritti umani e delle donne di Kabul invitando in Occidente i Taliban che viaggiano in jet privati, si stende una conveniente corte di silenzio sul resto. E il resto è roba da far venire i capelli dritti a chiunque. Lo scellerato 'accordo di pace' firmato a Doha da Khalilzad prevedeva sostanzialmente soltanto una condizione: la solenne promessa che i Taliban non avrebbero più permesso che l'Afghanistan diventasse una specie di Disneyland del terrorismo internazionale. Chiudendo gli occhi sul fatto che, mentre si discuteva di pace, i Taliban si addestravano assieme a membri di Al Qaida in appositi 'campi di adedstramento alla pace' come li aveva definiti l'analista Bill Roggio, e che Sirajuddin Haqqani, come altri nel governo Taliban, è a tutti gli effetti un membro di rilievo dell'organizzazione fondata dalla bunanima di Osama bin Laden (definito l'anno scorso 'un martire' dall'ex-premier pakistano Imran Khan). D'altra parte, negli ultimi mesi, noti esponenti di Al Qaida sono stati avvistati un po' dovunque in Afghanistan: accolti in trionfo in alcuni casi, mentre ad altri gli sono state attribuite posizioni nella pubblica amministrazione di alcune provincie e città. Gli americani, che lo sapevano e lo sanno perfettamente, ma fanno finta di nulla e soprattutto fanno come se l'Afghanistan non fosse e non fosse mai stato un loro problema. Mentre i consiglieri per la sicurezza nazionale di Russia, India, Cina, Iran, e delle repubbliche centro asiatiche si sono di recente riuniti a Dushambe, in Tagikistan, per discutere la situazione. E il meeting non è stato certo sereno. I ripetuti attacchi di Isis-K servono difatti a far passare il messaggio che i Taliban hanno bisogno di essere armati e addestrati per combattere i loro nemici, che sono nemici anche della comunità internazionale: spalleggiati da Cina e Pakistan, ormai una cosa sola, che hanno amorosamente allevato per anni l'attuale gruppo dirigente proprio in attesa di questo giorno. Le società cinesi hanno già espresso interesse a investire nel settore minerario in Afghanistan e le relazioni amichevoli con Kabul aprirebbero la strada a un'espansione della Belt and Road Initiative (BRI) di Pechino in Afghanistan e attraverso le repubbliche dell'Asia centrale. Non è un caso che il ministro degli esteri cinese Wang Yi si sia recato a Kabul lo scorso 23 marzo per colloqui con i Taliban, nonostante il suo governo non abbia ancora ufficialmente riconosciuto l'impresentabile gruppo di assassini che governa Kabul. D'altra parte, le mire economico-commerciali cinesi coincidono perfettamente con il vecchio sogno di profondità strategica di Islamabad: e il sodalizio Cina-Pakistan, più che a una partnership economica, somiglia sempre più alla classica amicizia tra ladri. Non si fidano l'uno dell'altro, ma si usano a vicenda per ottenere dei risultati. Lo sfruttamento delle risorse locali a vantaggio della Cina nel caso di Pechino, il mantenimento dello status-quo e l'uso del terrorismo come mezzo privilegiato di politica estera da parte del Pakistan. D'altra parte, mentre a Doha e in altre sedi si dicuteva di 'pace', in Pakistan i Taliban afghani (ospitati e facilitati dall'esercito di Islamabad) raccoglievano donazioni 'volontarie' in Pakistan: chi si rifiutava di 'donare' veniva ammazzato senza pietà. Secondo testimonianze di gente del posto, membri dell'organizzazione terroristica Jaish-i-Mohammed (sempre sponsorizzati dall'esercito) raccoglievano donazioni e reclute per la guerra di liberazione in Afghanistan. A quanto pare il famoso campo di Balakot (distrutto dall'India con un attacco a sorpresa tre anni fa) così come altri campi di addestramento della JeM in Pakistan, aveva tra le altre cose il compito di fornire reclute ai Taliban afghani. Così come di provvedere attentatori suicidi ben addestrati sia alla rete Haqqani che agli altri gruppi. Non solo. Secondo altre fonti, i Taliban raccoglievano fondi in maniera organizzata anche nelle province del Punjab e del Sindh. Dopo la presa di potere dei Taliban, la provincia di Nangahar, secondo fonti locali, è stata praticamente ceduta alla Jaish-e-Mohammed. Gruppo colpevole di numerosi attacchi in India, in particolare nel Kashmir indiano, e che, è bene ricordarlo, a differenza dei Taliban ha un'agenda di jihad globale esattamente come Al Qaida. JeM ha fornito per anni attentatori suicidi e truppe alla rete Haqqani e, dopo la presa di Kabul, ha immediatamente reclamato la propria libra di carne. Masood Azhar, il fondatore e padre spirituale del gruppo, si trovava a Nangahar due giorni dopo la presa di potere da parte dei Taliban per discutere di 'affari'. Risultato: i campi di addestramento della provincia sono stati ceduti alla JeM e, su istruzioni dell'ISI, i quadri dell'organizzazione sono stati trasferiti in Afghanistan. D'altra parte, come si dice, squadra vincente non si cambia. E Islamabad non ha intenzione di cambiare la sua strategia principale che è anche la sua risorsa primaria: il caos. L'allevamento di gruppi jihadisti tutti addestrati e gestiti dagli stessi maestri ma pronti, all'occorrenza, a scontrarsi tra loro. Terroristi buoni pronti a diventare cattivi e ad essere ufficialmente abbandonati quando la pressione è troppo alta, gente mandata a morire in nome del denaro o della religione, fa lo stesso. Tanto, nonostante i dotti distinguo fatti da molti in occidente, della religione, della fratellanza o dell'ideologia ai burattinai in questione importa veramente poco. E' solo oppio per gli stolti. Ma gli stolti, in questo caso, siamo noi.
Francesca Marino
@COOKIE1@
@COOKIE2@