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Pakistan: Taliban e altre storie
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    Habib-ur-Rehman
In Gilgit Baltisan, esplode un autobus con a bordo nove lavoratori cinesi e il governo di Islamabad va nel panico più totale mentre la Cina bacchetta pubblicamente il 'fratello di ferro' pakistano. Pochi giorni prima dell'esplosione, infatti, era circolato via social media un video che mostra una vecchia conoscenza dei servizi segreti, dell'esercito e della polizia pakistana: Habib-ur-Rehman, numero due dei 'Mujahidin del Gilgit Baltisan e Kohistan', uno di quei gruppi di 'cattivi' taliban che, secondo la narrativa ufficiale, tanti problemi hanno causato al Pakistan. Rehman, evaso di prigione nel 2015, è da allora latitante. Ufficialmente. Perchè il video lo mostra mentre, assieme a un nutrito gruppo di seguaci, blocca la Karakorum Highway per tenere una 'corte di giustizia' in cui si sono discusse anche “questioni di politica interna, di politica estera e questioni religiose”. Il buon Habib dichiara anche candidamente di aver fatto un accordo con il governo di Islamabad e con i servizi segreti. Islamabad, dopo aver cercato debolmente di scatenare il solito gruppo di troll incaricati di dire che si trattava di un vecchio video, ha rifiutato di commentare. Così come ufficialmente non commenta al principio l'esplosione del bus carico di lavoratori. Anzi, rilascia una versione ufficiale secondo cui il bus è esploso per una perdita di gas provocata da un gusto meccanico. I cinesi fanno finta di crederci, ma continuano ad esortare il governo ad arrestare i colpevoli e i cittadini cinesi in Pakistan a prendere le dovute precauzioni, e alla fine Islamabad ammette acutamente di aver trovato tracce di esplosivo nell'autobus e che si tratta probabilmente di un attacco terroristico. Opera dei Taliban? Non proprio. I Taliban, quelli afghani, hanno difatti dichiarato ufficialmente, per bocca del portavoce Suhali Shaheen, che considerano la Cina “un paese amico” e che gli investimenti di Beijing in Afghanistan sono benvenuti. Hanno dichiarato anche che “non permetteranno ad alcun gruppo separatista, incluso l'East Turkestan Islamic Movement, di operare facendo base in Afghanistan”. E le dichiarazioni di Shaheen facevano (non troppo curiosamente) eco alle ultime esternazioni del premier pakistano Imran Khan, che ha pubblicamente dichiarato di credere ciecamente a Beijing riguardo al trattamento riservato agli uighuri. Secondo l'Imran-vangelo, le notizie di torture e lavaggio del cervello sono tutte opera dell'Occidente, regolarmente peraltro accusato di islamofobia dallo stesso Imran, e la Cina ha non soltanto messo in piedi un paradiso per i musulmani dissidenti ma può vantare un sistema di governo molto più avanzato di qualunque democrazia occidentale: il partito unico. Quel partito unico che avanza la sua longa manus anche nel Gilgit Baltisan, dove un nutrito numero di donne uighure sposate a cittadini pakistani è stata arrestata dai cinesi (in territorio pakistano) senza alcuna motivazione, nella totale indifferenza di Imran e dei suoi. D'altra parte, il Gilgit Baltisan, regione del Kashmir occupato dal Pakistan, ha registrato una crescente radicalizzazione e la nascita di un estremismo islamico prima sconosciuto e dovuto al 'solito' trattamento riservato da Islamabad alle regioni di confine e, in particolare, al Kashmir. Mano libera a jihadi e terroristi vari, repressione sanguinosa degli sciiti, costruzione di madrasa integraliste e arrulamento più o meno forzato dei giovani nei ruoli di organizzazioni estremiste. Si tratta dunque della solita vecchia storia di Frankenstein che si rivolta contro il suo creatore, tanto cara a certi commentatori occidentali? Dopo l'attentato a Lahore contro il beniamino dell'Isi Mohammed Hafiz Saeed, capo di un paio di organizzazioni terroristiche, si tratta del secondo 'attentato' in suolo pakistano nel giro di qualche settimana. E di certo non sarà l'ultimo. Non perchè i jihadi vari si stanno rivoltanto contro l'esercito che li comanda o perchè gli indiani si siano improvvisamente rivelati più bravi del Mossad a infiltrarsi. Ma perchè anche l'ultimo incidente fa parte di una strategia e di una narrativa ormai consolidate: il Pakistan, vittima del terrorismo, ha bisogno di armi e soldi dell'occidente per difendersi dai terroristi che lo minacciano. Oltre ad aver bisogno, naturalmente, di soldi e armi cinesi per difendersi e difendere i cinesi dai terroristi che minacciano il Cpec. Leggi: per fare piazza pulita in tutta tranquillità di Baloch, Sindhi, Pashtun e Kashmiri che protestano, con diverse metodologie, contro le cosiddette nuove vie della seta e contro l'occupazione dei loro territori. La casa di Hafiz Saeed a Lahore si trova in una stradina guardata a vista dagli uomini dell'Isi e sorvegliata da un piccolo esercito privato di scagnozzi armati di AK-47: al nostro, nonostante la bomba abbia fatto fuori dodici persone, non è stato torto un capello perchè l'esplosivo è stato convenientemente piazzato due case più in là. Piazzare una bomba su un autobus carico di lavoratori è, da quelle parti, un gioco per bambini in età scolare. Per capire, basta ricordare che i 'cattivi' Taliban pakistani sono, come dichiara Rehman e come ha dichiarato più di una volta l'ex portavoce Ehsanullah Ehsan 'scappato' da una safe house dove l'Isi lo nascondeva, anch'essi al soldo dei servizi di Islamabad. Fare piazza pulita a Lahore di una manciata di poliziotti e passanti, serve ad accreditare l'immagine dell'imminente pericolo di destabilizazione del paese e a cercare di accusare ancora una volta l'India di finanziare i terroristi in Pakistan (quei due-tre che non sono al soldo del governo, magari). Ammazzare una manciata di lavoratori cinesi serve e servirà a incentivare la repressione ulteriore di ogni dissenso lungo la via della seta, che dal Gilgit Baltisan, attraverso il Balochistan, arriva fino in Afghanistan. La pax Talibana, pilotata dalla Cina e dal Pakistan, è a quanto pare già cominciata.
Francesca Marino
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