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Ancora Cina
  • Il Presidente cinese Xi Jinping
    Il Presidente cinese Xi Jinping
Un rapporto dell'Oms sulla gestione “caotica, improvvisata e creativa” della pandemia in Italia che sparisce in meno di 24 ore. Un piano pandemico, sempre quello italiano, fermo al 2006 e arrivato a fuori di copia e incolla fino al 2020. Il direttore generale aggiunto dell'Oms, Ranieri Guerra, che finisce nell'occhio del ciclone assieme al governo Conte e alla suddetta Oms. A portare alla ribalta le ultime miserie relative alla gestione della pandemia in Italia ci ha pensato la trasmissione televisiva Report, e non per la prima volta. Già in maggio, difatti, la trasmissione aveva denunciato l'arretratezza del piano pandemico italiano e la sparizione, dopo meno di 24 ore, del rapporto dell'Oms sulla gestione italiana della pandemia. Secondo i giornalisti della trasmissione televisiva, Guerra era stato direttamente responsabile, tra il 2014 e 2017, dell'aggiornamento del piano pandemico italiano e non aveva mosso un dito per aggiornarlo. Si sarebbe mosso invece, dopo la pubblicazione del dossier, per minacciare i suoi collaboratori, in particolare il coordinatore dei ricercatori dell'Oms Francesco Zambon. Imponendogli via email, con un linguaggio piuttosto colorito, di cambiare la data di aggiornamento del piano: dal 2006 al 2016. Secondo voci di corridoio Guerra, inviato da marzo a coordinare il ministro della Salute Roberto Speranza, avrebbe testualmente detto a Zambon: “O ritiri il dossier o ti faccio cacciare dall'Oms”. Sempre secondo Report, la procura di Bergamo ha aperto un'inchiesta per falso ed epidemia colposa e avrebbe chiesto ai ricercatori di presentarsi per riferire come persone a conoscenza dei fatti. Ma l'Oms, a quanto pare, avrebbe dato il permesso di comparire davanti ai magistrati soltanto a uno dei convocati: Ranieri Guerra, guarda caso. D'altra parte l'Oms in tutta questa tragedia del virus di Wuhan, ha fatto e continua a fare una ben magra figura. Controllata e manipolata dai cinesi, costretta a mentire mentre la pandemia era già in corso, di fatto impotente nella gestione del coronavirus, adotta, colpevolmente o meno, le strategie di copertura di Beijing avendo in mente non la salute di milioni di cittadini in tutto il mondo ma la gestione e la conservazione del potere. Quel potere che passa anche e soprattutto per la cosiddetta “Health Silk Road”, che segue la stessa rotta geografica e geopolitica della New Silk Road e che di questa ha lo stesso obiettivo: connettere e unificare il resto del mondo all'ombra della bandiera cinese. Succede così che Xi Jinping, come sempre per bocca del suo tirapiedi preferito, il portavoce del ministero degli Esteri Liljian Zhao (il suo primo nome, Muhammad, è scomparso man mano che la sua carriera procedeva), ci riprovi. Il nostro ha difatti ancora una volta dato il via a una campagna di propaganda in grande stile di articoli diffamatori volti a manipolare i risultati di una ricerca condotta presso l'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e guidata dal professor Giovanni Apolone. Lo studio di Apolone ha esaminato campioni di sangue alla ricerca degli anticorpi che vengono prodotti quando un paziente entra in contatto con il coronavirus. I medici hanno trovato anticorpi nei campioni del 14% dei partecipanti, anticorpi che risalivano fino al settembre 2019 mentre il primo paziente italiano Covid-19 è stato rilevato il 21 febbraio. E' bastato questo a mettere in moto Beijing. “Questo dimostra ancora una volta che rintracciare la fonte del virus è una complessa questione scientifica che dovrebbe essere lasciata agli scienziati”, ha sentenziato Liljian Zhao. Aggiungendo che si tratta: “di un processo in via di sviluppo che può coinvolgere più Paesi”. A dargli manforte la solita Oms, che ha ammesso la possibilità che il virus “circolasse silenziosamente altrove” prima di essere rilevato a Wuhan. Quella stessa Oms che, tanto per essere chiari, il 16 gennaio del 2020 mentre il Covid si diffondeva in Cina in maniera così esponenziale da rendere ormai impossibile negarne l'esistenza, continuava a sostenere in via ufficiale che il coronavirus non era trasmissibile tra esseri umani. Per tornare allo studio di Apolone, in realtà questo non esclude, ma anzi rafforza, l'ipotesi che dati gli strettissimi legami commerciali tra Cina (e in particolare Wuhan) e Italia, sia stato proprio il silenzio delle autorità di Pechino a contribuire a diffondere il virus in Europa molti mesi prima che l'epidemia si diffondesse ufficialmente in Cina. Lo stesso Apoloni ha dichiarato in un'intervista: “Sappiamo che la Cina ha ritardato l'annuncio dell'epidemia di Covid, quindi non si sa quando è iniziata lì, e la Cina ha legami commerciali molto forti con il nord Italia”. Ma il danno era ormai stato fatto, e la macchina cinese del fango gettato a mezzo stampa e social media era di nuovo in assetto di guerra. La notizia è stata prima diffusa dall'agenzia di stampa Xinhua e poi ampiamente commentata sul South China Morning Post di Hong Kong, mentre sui social media circolava questo post: “L'analisi delle acque reflue italiane ha mostrato la presenza del coronavirus a Milano e Torino, facendo ancora una volta presumere che la fonte primaria del nuovo coronavirus non è la Cina ma l'Italia. La Cina non ha avuto alcuna epidemia fino a gennaio 2020, mentre l'Italia ha rilevato la presenza del virus già dall'inizio di dicembre. E non soltanto l'Italia, ma anche la Francia e la Spagna. Il momento in cui hanno rilevato la presenza del virus nelle acque reflue, si colloca ben prima del momento in cui hanno avuto i loro primi pazienti. E questo spiega molti problemi”. In realtà, l'unica cosa a essere spiegata è la disperata ostinazione con cui il regime di Xi Jinping cerca di incolpare altri paesi del flagello che ha scatenato. Beijing ha prima cercato di incolpare della diffusione del virus gli Stati Uniti, denunciando senza alcuna prova che le truppe americane avrebbero portato il virus in Cina durante i Giochi Militari svoltisi a Wuhan nell'ottobre 2019. Poi ci ha provato con Francia e Spagna. E ad aprile il Global Times, quotidiano notoriamente al servizi del governo cinese, aveva citato in modo scorretto e fuori dal contesto un altro medico italiano, il nefrologo Giuseppe Remuzzi. Secondo il Global Times, Remuzzi (che è stato poi costretto a smentire ufficialmente in un'intervista data a Il Foglio) aveva ventilato che il virus fosse in realtà nato in Italia data la presenza di alcuni casi di polmonite sospetta prima del gennaio 2020. La verità è che a novembre 2019 la Cina sapeva già della presenza del coronavirus originato a Wuhan, ma Beijing era impegnata a fingere che tutto fosse normale, arrestando, ammazzando e mettendo a tacere in diversi modi medici e giornalisti mentre continuava a inviare migliaia di turisti e uomini d'affari in Italia e nel resto del mondo. E mentre il virus circolava, la Cina spingeva l'Oms a mentire a suo favore e forzava qualche politico italiano a lanciare una campagna chiamata "abbraccia un cinese". In marzo, mentre la gente in Italia moriva come mosche, c'è stato un altro tipo di propaganda disgustosa quando l'ineffabile Zhao ha condiviso un video su Twitter con l'hashtag #grazieCina che mostrava gli 'italiani' che avrebbero ringraziato la Cina per il loro aiuto, con l'inno cinese in sottofondo. Successivamente è iniziato un altro tipo di strategia. Pechino sembra ora sfruttare, difatti, il disastro economico che l'Italia sta affrontando a causa del virus cinese acquistando aziende italiane bisognose. Il numero di aziende italiane acquistate da entità cinesi è cresciuto di oltre venti volte negli ultimi dieci anni. L'Italia, prima di Covid-19, era la quinta destinazione in termini di numero di investimenti dalla Cina. Ora la percentuale è destinata ad aumentare. Mentre Beijing cerca di ripulire l'immagine del suo paese cercando capri espiatori per far dimenticare al mondo una cosa fondamentale: che l'unico paese ad aver guadagnato dalla pandemia, al momento, è proprio la Cina. Il suo Pil, mentre tutto il mondo è in recessione, è cresciuto difatti del 4,2%.
Francesca Marino
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